Come uscire dal pantano iracheno?
2) L’invio di truppe da parte del governo italiano ha contraddetto la volontà popolare e, più ancora, lo spirito e la lettera dell’art.11 della nostra Costituzione, di cui non finiremo mai di serbare gratitudine agli estensori, primo fra tutti a Giorgio La Pira. È chiaro infatti che una forza di interposizione inviata dietro pressione della potenza occupante, può facilmente scivolare dal ruolo dichiarato, «per mantenere la pace», a quello di forza belligerante e comunque coinvolta, specie se e quando attaccata.
3) Il voto successivamente intervenuto all’Onu non può sanare la prepotenza di fondo, l’intrinseco disordine morale di quell’operazione e, men che meno, esorcizzare la reazione di un popolo e di una vasta area culturale, politica e religiosa che si sente, a torto o, più probabilmente, a ragione, oggetto di una reiterata e prepotente politica neo-colonialista: che gli americani e gli inglesi siano andati in Iraq per il petrolio lo capisce anche la mia gattina! E quel terrorismo che si vuol combattere è cresciuto di pari passo con il bellicismo.
Che fare? Forse nessuno ancora sa come uscire da questo pantano, nel quale l’unica cosa certa è la morte quotidiana dei ragazzi: americani, inglesi, italiani, irakeni che siano, oltre alle migliaia di civili innocenti uccisi negli ultimi anni e ancora in questi giorni, in un perverso quanto oscuro «gioco» al massacro, fatto di ritorsioni e di vendette. Una «inutile strage» verrebbe fatto di dire, ripetendo la stessa frase che Benedetto XV pronunziò per denunciare l’assurda carneficina della prima guerra mondiale. Fu inascoltato e vilipeso, fatto oggetto di propaganda ostile e calunniosa, dichiarato disfattista, privo d’amor patrio ecc. come tutti coloro che denunciano l’intrinseca iniquità della guerra.
Non nascondo che le cerimonie di questi ultimi giorni, doverosamente fatte per pregare ed onorare la memoria dei militari uccisi, mi hanno insinuato anche un senso di inquietudine, di deja vu per la retorica militaresca e patriottarda che le ha in qualche modo accompagnate. A me, che insegno storia, sono tornate alla mente certe «radiose giornate» del maggio 1915 in cui una piazza passionale arringata dal «divino» Gabriele D’Annunzio assediava l’abitazione del vecchio Giovanni Giolitti reo, con i cattolici e una parte dei socialisti, di non voler avallare l’ingresso in guerra dell’Italia.
La situazione nella quale ci siamo cacciati in Iraq è difficile e molto rischiosa. La guerra ostinatamente voluta dal presidente Bush come abbiamo scritto più volte è stata una decisione sbagliata e contraria al diritto internazionale. Oltretutto il pretesto che Saddam fosse in possesso di armi di distruzione di massa si è dimostrato totalmente infondato e la guerra non ha neanche ottenuto il risultato di circoscrivere il pericolo del terrorismo. Oggi, infatti, viviamo in una situazione di accresciuto allarme in tutto il mondo, compreso il nostro paese. Detto questo, però, ritengo inutile ricriminare sul passato. I nostri militari in Iraq stanno svolgendo una «missione di pace», anche se in un quadro politico e militare non sufficientemente chiaro, neanche dopo la risoluzione Onu 1511, che pure ha cambiato le carte in tavola. Occorre che il nostro paese e l’Europa spingano con forza perché il potere in Iraq torni velocemente nelle mani degli iracheni e sotto la supervisione dell’Onu, anche se gli atti di terrorismo, sempre e comunque da condannare, rendono oggettivamente difficile questa giusta soluzione.“