Come ti rovino una fiction

Caro Direttore, pur rendendomi conto che porre l’attenzione su una fiction, in momenti come gli attuali, così difficili per molta gente, potrebbe sembrare fuori luogo, ma a sentire magnificare l’ultima serie del «Medico in famiglia» (la qualità non è mica data dall’audience), come ha fatto Elisa Zambardieri (Toscanaoggi n. 38 del 24 ottobre 2004), il mio disagio è stato tale da essere costretto a scrivervi. Non capisco come gli autori siano riusciti a rovinare un intrattenimento che era piacevole a vedersi da tutti componenti di una famiglia come è stata la prima e seconda serie e un po’ meno la terza, in quanto, nella quarta serie sono state mandate in onda scenette anche indisponenti. Fra le scenette incriminate, secondo me, a titolo esemplificativo si possono senz’altro mettere quella del vecchietto, anche antipatico, amico di «nonno Libero» che va in fregola per una giovane badante extracomunitaria chiede al dottore «un aiutino» e quella di Ionis che si mette a fare il «vu cumprà» vendendo reggiseni alla dirigente, alle dipendenti e alle clienti della Asl con pietose situazioni. La Zambarbieri chiude con «Raiuno, che s’impegna a volte nel trattare temi di attualità, ma che in questa edizione sembra insistere più sul genere comico e della love story, uniti con sapiente maestria (sic!), con garbo e una recitazione che gli anni e l’esperienza di bravi attori hanno reso decisamente convincente (sic!)»; meno male poi aggiunge «(almeno nella maggior parte dei casi)».Achille Di LeggeGrosseto

«Un medico in famiglia» è indubbiamente uno sceneggiato che ha incontrato il favore del pubblico sia per la bravura e la simpatia degli interpreti – primo fra tutti Lino Banfi – sia per aver portato alla ribalta le vicende di una famiglia normale, che sa aprirsi agli altri con una fitta rete di rapporti e dove si affrontano e si risolvono i problemi, certo con un po’ di semplicismo, ma anche con un buon senso che fa però riferimento ad alcuni valori: la famiglia, l’amicizia, la solidarietà.

E proprio sull’onda del successo ottenuto e di un cliché collaudato, si è pensato bene di continuare e così si è giunti… alla quarta serie, che però mostra chiaramente quelle cadute di stile che lei evidenzia, caro Di Legge, e che soprattutto si evidenziano nel modo un po’ superficiale di intendere e di impostare i rapporti sentimentali, che finisce per rendere accettabili comportamenti disinvolti che coinvolgono i giovani protagonisti, ma che in fondo trovano approvazione in tutti.

E la nostra recensione lo sottolineava, affermando che «a questo risvolto poteva essere necessaria una maggiore attenzione, soprattutto per un prodotto amato e seguito dal pubblico italiano senza distinzioni eccessive in termini di fasce generazionali». Avviene infatti che gli spettacoli di intrattenimento ci trasmettono modelli di comportamento che finiscono per influenzarci più di quanto siamo disposti ad ammettere. Si dice, forse con un po’ di esagerazione, che nel cambiamento del costume degli italiani le fiction abbiano avuto un ruolo non secondario, proprio presentando come diffusi, normali e quindi leciti comportamenti che in precedenza erano generalmente considerati negativi. È il «potere» della tv da cui ci si libera sviluppando quel senso critico che sa valutare ciò che ci viene presentato alla luce dei valori in cui crediamo. Questo fa sì che lo spettatore non diventi teledipendente.