Chi scrive i messaggi e i discorsi del Papa?
Caro direttore, una curiosità: chi li scrive i discorsi e i messaggi del Papa, ma anche le omelie? Mi sono sempre chiesto se li scrive da solo o se altri li scrivono per lui. Me lo sono chiesto in questi giorni anche per il Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, visto che ci sono termini un po’ tecnici su internet e altre cose di cui non so quanto il Papa si possa intendere. È vero che i gesuiti sono dei grandi studiosi e non ci sarebbe da meravigliarsi se anche Papa Francesco si intendesse di internet.
Credo che la domanda che si pone il nostro amico Bettoli se la siano posta in tanti. Diciamo subito che il Papa ha giornate talmente intense che non è facile possa trovare il tempo per scrivere la miriade di discorsi, omelie e messaggi che si trova a pronunciare o a firmare. È ovvio pertanto che abbia persone di fiducia che lo aiutano o esperti dei singoli settori (ad esempio delle comunicazioni sociali, nel caso specifico) che buttano già una traccia dei vari interventi. Non succede solo al Papa, succede anche a molti vescovi, soprattutto a quelli che hanno incarichi particolari e sono chiamati a pronunciare molti discorsi o omelie. Quasi sempre, però, il diretto interessato rivede i testi, li corregge, fa delle aggiunte, li adatta al suo pensiero e al suo modo di esprimersi. Nel caso poi di Papa Francesco ci siamo ormai abituati a molti interventi «a braccio», a partire dalle omelie del mattino in Santa Marta fino alle chiose alla catechesi del mercoledì durante l’Udienza generale. Con Bergoglio capita spesso, ma capitava anche in passato. Memorabile, ad esempio, quando Giovanni Paolo II, incontrando i giovani in San Francesco ad Arezzo, mise via il discorso ufficiale dicendo che se lo potevano leggere il giorno dopo su «L’Osservatore Romano».
Tornando a Francesco e al Messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, non c’è dubbio che ci siano affermazioni proprie, caratteristiche. Il che significa che il Papa è in perfetta sintonia con chi gli ha tracciato il messaggio oppure che lui stesso ci ha messo mano. Mi riferisco ad esempio a quando scrive, a proposito di internet, che «non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi», ma «occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. (…). La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. (…). La testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali. Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare “fino ai confini della terra”». E poi l’affermazione finale, che è propria di Papa Francesco: «La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria».
Andrea Fagioli