C’è anche un’America contraria alla guerra

Caro Direttore,credo utile segnalare uno dei numerosi interventi «preoccupati» che vengono d’oltre Atlantico. Il 16 novembre 2002 l’Assemblea generale del Consiglio nazionale delle Chiese di Cristo negli Usa, riunita a Tampa in Florida, ha approvato una dichiarazione intitolata Dopo l’11 settembre 2001: considerazioni di politica pubblica per gli Stati Uniti d’America. Si tratta di poche dense pagine, comparse in internet e pubblicate da Il Regno del 1 dicembre 2002. Iniziano con la denuncia a carico del governo statunitense per le ricorrenti minacce di guerra preventiva e unilaterale all’Iraq, e per lo scarso impegno in favore della pace fra israeliani e palestinesi: «A distanza di oltre un anno [dall’11 settembre 2001] siamo molto preoccupati per il sorgere del militarismo e la crescita della violenza. Ci preoccupa, in particolare, la possibilità di un intervento militare contro l’Iraq, con o senza l’autorizzazione dell’ONU. […] Ci preoccupa anche la riluttanza degli Stati Uniti a utilizzare la propria influenza per promuovere una pace duratura nel Medio Oriente, soprattutto nel persistente conflitto fra gli israeliani e i palestinesi». Impressiona l’uso ricorrente (8 volte in poche righe) di termini che manifestano «preoccupazione». I rappresentanti dei cristiani USA si dicono «preoccupati» per «l’insicurezza, la paura, l’odio, la violenza», che «il presidente e gli altri membri del governo» diffondono nel mondo con la mania di «dividere enfaticamente gli stati e i popoli in “buoni” e “cattivi”», «contraddicendo la fede cristiana nella dignità di ogni uomo come figlio di Dio e favorendo nuovi atti di terrorismo». «Profonda preoccupazione» avvertono per «i procedimenti extragiudiziali e gli impedimenti alle libertà civili fondamentali adottati dagli organi di sicurezza governativi», fino al punto da «minare i principi costituzionali dell’Habeas corpus, della presunzione d’innocenza e del giusto processo». «Preoccupazione particolare» infine desta nel Consiglio delle Chiese «il fatto che gli Stati Uniti sono sempre più militaristi nella scelta degli strumenti e unilaterali nel perseguimento degli obiettivi politici ed economici». L’alternativa al termine «preoccupazione» aggrava il tono della denuncia. Il Consiglio delle Chiese nordamericane si dice «amareggiato» per una serie di comportamenti del governo. L’elenco è impietoso. Comprende «il rifiuto degli Stati Uniti a saldare i conti arretrati all’Onu, l’indisponibilità a essere tra i firmatari della Corte penale internazionale, la riluttanza a onorare la messa al bando dei test missilistici e altri accordi internazionali che limiterebbero l’aumento degli arsenali militari, le disparità nell’attuazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza». Il giudizio conclusivo sul governo Bush sa tanto di condanna globale: «Siamo particolarmente amareggiati quando sentiamo parlare di risposte militari a problemi politici». Di fronte a prese di posizioni così chiare e ferme, è naturale che quanti non condividono le scelte dell’attuale presidenza USA si sentano sollevati dalla facile accusa di antiamericanismo. E pensino che, anziché sulla rabbia e sull’orgoglio, converrebbe che la superpotenza puntasse sulla pazienza della politica. D’accordo con l’Onu dei popoli.Francesco PasettoPratovecchio (AR)

Ringraziamo il nostro lettore per questa segnalazione che credo possa tornare utile a quanti vogliano farsi un’opinione seria e motivata sulle vicende della possibile guerra all’Iraq. La tragedia dell’11 settembre avrebbe potuto spingere gli Usa ad una vera politica di pace e di cooperazione, mettendo tutta la propria autorità nel risolvere la crisi israelo-palestinese, vero bubbone che infetta il pianeta, e irrobustendo il governo dell’Onu. Purtroppo questa non è stata la strada intrapresa.

Il testo del documento dei vescovi americani (in inglese)