Cattolici e politica: è l’ora di cambiare registro mentale

Caro direttore, non condivido quanto ha scritto il pur bravo Riccardo Saccenti a p. 4 del numero scorso (18 marzo 2018) ragionando sul voto politico del 4 marzo e «sui cattolici ormai in ordine sparso e alla ricerca di un nuovo ruolo». Intelligente l’analisi del voto in generale e inoppugnabile il dato della dispersione elettorale dei cattolici. Contesto invece l’apodittica affermazione che «non vi è spazio alcuno per un “partito cattolico” e nemmeno per una presenza identitaria all’insegna dei valori “non negoziabili”». Un veto del genere finisce per dichiarare impossibile oggi (di fatto o anche di diritto?) una compagine di chiara e piena ispirazione cristiana. È un nuovo «non expedit»?

D’accordo che occorre «una parola forte e un atteggiamento vigile che ricordi alla politica i suoi limiti e il suo fine: ordinare la società al bene, accettando e governando i conflitti». Ma nell’ambito cattolico, aggiungo io, non c’è un modo solo di adempiere a tale indiscutibile compito: c’è il modo proprio dei pastori, quello degli educatori, quello degli intellettuali, compresi i giornalisti, e quello dei fedeli laici in quanto tali. Perché dovrebbe essere proibita o dichiarata «fuori luogo» quella modalità di presenza nel mondo che i decreti conciliari, le encicliche sociali e la legge canonica ad essi chiedono, ossia la modalità propriamente politica?

Ma è proprio in forza della coerenza cristiana, della fedeltà cattolica e della specifica responsabilità laicale che alcuni cattolici (pochi ancora) – senza considerarsi «il partito cattolico» né farsi presuntuose illusioni, cercando tuttavia di superare il tarlo della dispersione infruttuosa – intendono anch’oggi dar vita a un partito che nei programmi e nell’azione si riconosce nell’intera dottrina sociale della Chiesa, ovviamente applicata al presente. Tutto ciò in dialogo con tutti, cristiani o no, e con una prassi assolutamente democratica.

L’integralità dei suoi riferimenti ideali fondamentali (lascio da parte la parola «non negoziabili») e un’aperta proposta politica «forte», gli conferiscono certamente un carattere «identitario» ma non settario, non integralistico, non sanfedista. Non sono le idee «deboli» che salvano il mondo, ma quelle «vere» dell’umanesimo plenario (Paolo VI) purché servite con coraggio e mitezza. Quella di Sturzo e di De Gasperi, per non dire di La Pira, era una presenza «identitaria» ma quanto liberante!

Parlo di un partito di piena ispirazione cristiana (tanto più vera, credo, quanto più radicata nell’esperienza cristiana), che difende e promuove, se ce n’è bisogno, la libertà della Chiesa ma insieme alla libertà di tutti; ha il senso dello Stato ma non è statalista; è un partito nazionale ma decisamente aperto a unità sopranazionali, ed è fortemente impegnato per la liberazione dalla miseria, dall’egemonia scandalosa del denaro, dal degrado ecologico suicida, dall’ingiustizia, dalla prepotenza laicistica, dalle varie disumane oppressioni, dalla guerra (quella guerreggiata e quella preparata da tremendi e immorali armamenti).

Perché allora, ostracizzare o dichiarare chimerico un progetto del genere, che senza dubbio è difficile?

Sì, credo che su questi problemi sia l’ora di «cambiare registro mentale».

+ Gastone Simoni,vescovo emerito di Prato

Carissimo monsignor Simoni, la ringrazio per questo suo intervento che in qualche modo potevo anche prevedere. Quantomeno, conoscendo la sua passione e il suo costante impegno su questi temi, immaginavo potesse non condividere l’analisi di Riccardo Saccenti. E con lei anche altri. In redazione ne eravamo coscienti. Ne abbiamo anche discusso. Arrivando, però, alla conclusione che l’intervento di Saccenti (da noi richiesto esplicitamente) era comunque lucido, puntuale e in gran parte condivisibile. Oltretutto utile ad aprire un dibattito che abbiamo subito avviato. Infatti, ancor prima che arrivasse la sua lettera, avevamo chiesto a un altro nostro editorialiasta, Domenico Delle Foglie, di raccogliere le sollecitazioni di Saccenti e di proporre una propria lettura del voto dei cattolici.  Alla fine del testo, pur non avendolo concordato prima, Delle Foglie propone che questo giornale possa diventare uno dei luoghi di dibattito «nei quali esercitare il discernimento comunitario sul futuro del cattolicesimo politico». Una proposta che accogliamo più che volentieri. Del resto, anche in passato, nel suo piccolo, questo giornale ha avuto questo ruolo. E lei, caro monsignor Simoni, lo sa bene perché ci è sempre stato vicino e con lei abbiamo condiviso tante iniziative come quella del «Forum» che a suo tempo mise intorno a un tavolo i politici cattolici toscani presenti nei diversi schieramenti arrivando a produrre significativi documenti come quello sulla famiglia. In qualche modo ci possiamo riprovare.

Andrea Fagioli