Banalità del male: quei «bravi ragazzi» in grado di uccidere

Spesso, in casi come quelli registrati dalla cronaca nera di queste settimane, si sente dire: «Era un bravo ragazzo».

La prima sensazione è quella del fastidio in quanto appare  palese che non c’è differenza quando si uccide: si è assassini, sia nel caso che si sia «bravi» o «cattivi» ragazzi.

Io però credo che proprio la reazione di chi conosce personalmente i protagonisti di queste efferate vicende sia determinata dal non accettare la logica del «mostro» che tanto piace ai giornali e ai loro lettori amanti del trucido.

Ritengo che dia sempre molto molto molto fastidio che ci sia chi ci ricorda che il male è banale, molto banale. Pensate a cosa dovette passare – fatte le dovute proporzioni – colei che coniò questa espressione (la banalità del male), Hannah Arendt, quando tese a ribadire la «normalità» e mediocrità di un personaggio come Eichmann.

Non ci rassicura affatto sapere che chi compie tale azioni non sia un «mostro» ma un «bravo ragazzo», lavoratore, inserito nella società, rispettoso delle regole.

Stefano DommiScandicci (Firenze)

Ha ragione, caro Dommi, non ci consola affatto sapere che chi compie un omicidio era all’apparenza una persona per bene. Anzi, ci preoccupa ancora di più perché ci fa pensare che tutti potremmo essere dei potenziali assassini. Questo mi spinge a due riflessioni. La prima è che questi fatti sembra si stiano moltiplicando (dico sembra perché questo dubbio fa parte della seconda riflessione). In ogni caso significa che abbiamo perso il senso del valore e della sacralità della vita umana. E questo è vero a prescindere dai numeri. Lo si vede in tante altre circostanze.

La seconda riflessione riguarda il ruolo dei mezzi di comunicazione (stampa, radio, tv, social network…) che danno sempre più spazio a omicidi, violenze, sparizioni…. Ci sono trasmissioni televisive che dedicano ore e ore alla cronaca nera. Da qui il dubbio che certi fatti non siano realmente aumentati, bensì sia aumentata la quantità di notizie in proposito. Collegato al modo di fare informazione c’è anche l’ipocrisia di andare sempre a chiedere a parenti, amici, vicini di casa com’era la persona che ha compiuto il crimine. A mio giudizio è una forma di sciacallaggio pari a quella di quando si va a chiedere lo stato d’animo della persona che ha subito un lutto per un episodio cruento e magari le si chiede pure se è pronta a perdonare. Anche così si banalizza il male.

Andrea Fagioli