Ancora su Monti tra liste e «stonature»
Per chi, come me, della stagione berlusconiana dà un giudizio totalmente negativo, il suo superamento deve essere accolto con soddisfazione. E tuttavia vi sono alcune «stonature», le quali – se è vero che nelle cose importanti «anche la forma è sostanza» – suscitano ampie riserve e meritano di essere denunciate. La prima è che Monti sfrutti lo status di «tecnico» per lanciare una sua operazione «politica» (oltretutto – fatto quanto mai discutibile, e di pessimo gusto – approfittando di un’occasione ufficiale come la conferenza stampa di fine anno per ironizzare pesantemente sul suo predecessore). La seconda «stonatura», che mi disturba particolarmente in quanto credente, sono certe attestazioni di stima per Monti da parte di autorevoli esponenti cattolici, poco attenti alle delicate responsabilità del proprio ruolo: quasi che il professore fosse l’unica persona onesta e competente, e – soprattutto – quasi che il compito primario della Chiesa non fosse quello di esercitare la sua profezia, senza incaute aperture di credito (come invece per troppo tempo si è fatto a favore dell’uomo di Arcore).
Confesso la mia disaffezione a una politica che, di fatto, non promuove il bene comune e non tutela i legittimi interessi soggettivi. Rifletto sull’operato del governo Monti e sul rigore, sulla crescita, sull’equità che tale governo avrebbe dovuto realizzare. Ebbene constato che il rigore è stato attuato con una tassazione fiscale e una riforma pensionistica che hanno penalizzato fortemente i ceti meno abbienti e i lavoratori dipendenti del settore pubblico e di quello privato. Non posso sostenere che la crescita e l’equità siano state attuate. Così i sacrifici per il risanamento del debito pubblico hanno gravato i cittadini con medio o basso reddito. Resto perplesso di fronte a certe affermazioni di Mario Monti relative alla sua salita in politica e al suo sentirsi extra partes. Forse l’agone politico democratico è disdicevole e quindi serve una politica illuminata dall’alto? Rimugino alcune dichiarazioni di un Bersani, di un Berlusconi, di un Grillo e, in verità, mi convincono poco.
Bersani promuove timidamente un interesse generale con parziali correzioni dei provvedimenti montiani. Berlusconi spavaldamente difende l’utile particolare con riduzioni del carico fiscale. Grillo ferocemente polemizza con il sistema politico e propone a suo modo possibili riforme.
Concordo con le riflessioni di Roberto Benigni: 1) i due nemici della Costituzione sono il disinteresse alla politica e il cattivo esercizio del voto; 2) bisogna amare la politica perché disprezzarla è come disprezzare se stessi. Allora proprio per l’amore che nutro verso me stesso e per espletare un buon esercizio del voto mi domando se sia opportuno sostenere un centro sinistra bersaniano che promette un qualche miglioramento nel futuro; oppure un centro destra berlusconiano che propaganda un certo benessere nel presente. C’è una differenza; ma purtroppo è labile non essendo ancora dichiarato, da entrambi gli schieramenti, quale rapporto deve intercorrere tra la finanza e la politica.
Sinceramente il deus ex macchina (sia esso il serio Monti che incassa il placet dell’Osservatore Romano, o il provocatorio Grillo che piace all’antisistema) non mi appassiona. Occorre un organico e non nebuloso progetto per il bene comune, che tenga conto di una riduzione adeguata della tassazione del lavoro dipendente e di uno sviluppo delle opere pubbliche, allo scopo di promuovere le persone svantaggiate. Oppure l’utile particolare immediato è destinato legittimamente a prevalere. Personalmente, magari turandomi il naso, opererò così.
Difficile non concordare con Corrado Passera che a proposito di Monti ha detto che «si è persa una grande occasione» perché credeva «al progetto di una lista unica sia alla Camera che al Senato». In effetti, una lista unica avrebbe coagulato più facilmente il voto liberale e centrista, con l’attrazione anche degli scontenti Pdl e Pd, privando inoltre l’elettore di capilista come Fini e Casini, che furono berlusconiani e responsabili delle non brillanti responsabilità della prima e seconda Repubblica.
Per la seconda settimana di seguito sono «costretto» (lo dico ovviamente tra virgolette) a rispondere a lettere su Mario Monti e dintorni, segno evidente che l’argomento interessa. Nel numero scorso avevo detto che Monti, come «tecnico», è il frutto del fallimento dei partiti, che ha fatto quello che i partiti non sono stati in grado di fare e che ha ridato dignità alla politica e al nostro Paese. Ne sono ancora convinto, anche se la sua «salita» in politica (e quindi il suo non essere più «tecnico») lo ha già portato a usare toni non sempre condivisibili nei confronti degli avversari, ma anche dei possibili futuri alleati. Resta comunque, quella di Monti, una «salita» in politica coraggiosa, da seguire con attenzione. E se le «benedizioni» arrivano da «autorevoli esponenti cattolici» non ci vedo niente di male, purché si tratti di laici. In quanto alla mancata lista unica non c’è dubbio che anche tra i cosiddetti «centristi» abbiano prevalso logiche vecchie, che sembrano resistere in tutti gli schieramenti. Basti pensare al Sel di Vendola che proprio qui in Toscana, prima di fare marcia indietro, aveva imposto i capilista facendosi beffe dei risultati delle primarie.
Andrea Fagioli