Il radioso futuro di Natanaele

DI BENITO MARCONCINIIl nome Natanaele, di origine ebraica, significa «dono di Dio» e designa nel vangelo di Giovanni (1,45-51) uno dei discepoli di Gesù. Fu anche apostolo, pur non trovandosi nell’elenco dei «Dodici»? Molti hanno provato a considerarlo tale. Il più comune tentativo si fonda sulla presunta identificazione di Natanaele con il Bartolomeo dei sinottici, ricorrendo a due argomenti. Natanaele nel vangelo di Giovanni (1,45) si trova dopo Filippo, proprio come Bartolomeo nel collegio apostolico (Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 6,14; eccetto At 1,13); inoltre, supponendo l’esistenza di due nomi ebraici per una persona, Bartolomeo (bar tolmay, in aramaico «figlio di Tolmai») sarebbe il nome patronimico, mentre Natanaele il nome personale.

Altri sostengono l’identificazione di Natanaele con Matteo per lo stesso significato dei due nomi e cioè «dono di JHWH»; altri infine lo identificano con Simone il cananeo (Mt 10,4), pensando erroneamente che questo aggettivo «cananeo» sia collegato con Cana, la patria di Natanaele. La mancanza di argomenti per ritenerlo un apostolo non deve condurre a negare l’esistenza dell’uomo Natanaele, considerandolo un puro simbolo del popolo di Israele in cerca di Gesù: storia e simbologia sono sempre unite in Giovanni.

Natanaele è l’ultimo personaggio della cosiddetta «settimana inaugurale», durante la quale Giovanni rivela l’identità di Gesù, mentre i sinottici svelano il «segreto messianico» soltanto al momento della crocifissione. Natanaele riceve l’annuncio da Filippo (già entrato nella cerchia di Gesù) il quale gli trasmette l’esperienza fatta: «abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti, Gesù figlio di Giuseppe di Nazareth».

Questo annuncio identifica Gesù come «figlio di Giuseppe» e lo avvicina a Mosè di cui parla il Deuteronomio (18,15-18) e ad Elia secondo il testo di Malachia (3,23): Gesù risulta così il compimento, la pienezza e l’esegeta dell’Antico Testamento (cfr. Lc 24,27). Il pregiudizio di Natanaele è forte e la reazione sprezzante («da Nazareth può venire qualcosa di buono?») ed è tuttavia aperto all’incontro: questa apertura lo rende «vero Israelita», come può esserlo chiunque giunge a credere in Gesù. Natanaele sentitosi completamente capito, in un profondo atto di fede, riconosce Gesù «Figlio di Dio, re di Israele»: questi sono titoli messianici, ripresi nella passione (19,37: «Io sono re») e nella risurrezione (20,28).

Natanaele ha sperimentato che Gesù possiede una conoscenza delle cose fuori del normale, si è sentito capito nell’intimo: di più non ci è dato sapere, specialmente sul riferimento a quel fico sotto il quale si trovava Natanaele, episodio spiegato in tanti modi, nessuno dei quali risulta soddisfacente. L’apertura a Cristo apre a Natanaele un futuro radioso: «vedrai cose maggiori di queste». La promessa, rafforzata ed estesa ad altri («vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo») presenta Gesù quale punto di contatto tra cielo e terra, luogo della presenza raggiante e luminosa di Dio che è la gloria, realizzazione piena dei desideri di ogni vero israelita, di Natanaele e con lui di ogni credente.