Giona, un profeta «in uscita»
Giona – ha osservato il Papa – è un profeta in «uscita» e anche un profeta in fuga! Infatti quando Dio invia Giona a predicare nella città di Ninive per convertirne gli abitanti, il profeta, che conosce la bontà del Signore e il suo desiderio di perdonare, si impaurisce, però, delle minacce e dei pericoli, e cerca di sottrarsi al suo compito fuggendo.
Durante la fuga Giona entra in contatto con dei pagani, i marinai della nave su cui si è imbarcato per allontanarsi da Dio e dalla sua missione. Scoppia una tremenda tempesta in mare e il profeta scende nella stiva della nave e si abbandona al sonno. I marinai, invece, vedendosi perduti invocano ciascuno il proprio dio. Il capitano della nave sveglia Giona invitandolo a invocare il suo Dio. La reazione di questi pagani è la giusta reazione davanti alla morte, perché è allora che l’uomo fa completa esperienza della propria fragilità e del proprio bisogno di salvezza. L’istintivo orrore del morire svela la necessità di sperare nel Dio della vita. «Forse Dio si darà pensiero di noi e non periremo» (Gio 1,6): sono le parole della speranza che diventa preghiera, quella supplica piena di angoscia che sale alle labbra dall’uomo davanti al rischio di morte. Quando Giona, ammettendo le proprie responsabilità, si fa gettare in mare per salvare i suoi compagni di viaggio, la tempesta si placa. La morte incombente ha portato quei pagani alla preghiera, ha fatto sì che il profeta, nonostante tutto, vivesse la propria vocazione al servizio degli altri accettando di sacrificarsi per loro, e ora conduce i sopravvissuti al riconoscimento del vero Signore e della vera lode. I marinai, che avevano pregato in preda alla paura rivolgendosi ai loro dei, si rendono conto del vero Dio e offrono sacrifici e sciolgono voti.
La speranza che gli aveva indotti a pregare per non morire, si rivela ancora più potente e opera una realtà che va anche al di là di quanto essi speravano: non solo non periscono nella tempesta, ma si aprono all’accoglienza del vero e unico Signore del cielo e della terra. Così, sotto la misericordia divina, la morte può diventare, come è stato per San Francesco d’Assisi, «nostra sorella morte», e rappresentare per ogni uomo e per ciascuno di noi, la sorprendente occasione di conoscere la speranza e di incontrare il Signore.