Geremia, sedotto dal Signore

DI BENITO MARCONCININato attorno al 650 ad Anatot, nella parte meridionale del territorio di Beniamino, vicino a Gerusalemme, riceve nel 627 la missione di comunicare tutto quello che Dio gli ordinerà, diventando «sua bocca». L’assicurazione di un’assistenza divina e la percezione di essere conosciuto prima di uscire dal seno materno, quasi a dire esisto perché Dio mi pensa da sempre, gli fanno affrontare la vita con ottimismo, entusiasmo, abbandono fino all’ingenuità: se Dio è con me tutto mi andrà bene. Questo stadio della vita, passivo e infantile, cozza però con l’ostilità, la cattiveria e il rifiuto dei connazionali.

Fortemente emotivo, guidato più dal sentimento che dalla lucida ragione Geremia appare eroe della «passione», cioè del sentire profondo, come Isaia lo era stato dell’azione. Ora si mostra agnello, ora vendicativo, ricerca la solitudine e ne soffre, desidera Dio e lo rifiuta per poi ricercarlo come unico rifugio, teme il pericolo e lo affronta coraggiosamente.

Emarginato, minacciato, imprigionato, accusato di tradimento si ribella alla situazione difficile per poi affidarsi nel silenzio alla dura risposta della fede: «Se correndo con i pedoni ti stanchi, come potrai gareggiare con i cavalli?» (12,5). Se parla, il re Yoyakîm e il partito filoegiziano maggioritario in Gerusalemme lo tormentano, se sta zitto Dio lo spinge come fuoco interiore a denunciare la falsa fiducia nel tempio, l’oppressione dei deboli, il comportamento traviante delle autorità. Le ripercussioni interiori di un ministero difficile toccano il loro vertice nella quinta «confessione»: «Mi hai sedotto Signore, e io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto forza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di scherno ogni giorno… maledetto il giorno in cui nacqui» (Ger 20,7.14).

Geremia è l’uomo che vuol restare fedele alla missione, con libertà dice quanto prova: confidenza e trasparenza distinguono il suo rapporto con Dio. Egli giunge così allo stadio maturo della fede, alla consapevolezza che la propria capacità è più dono che conquista, come risulta dal «Libro della Consolazione» (Ger 30-31) il cui vertice parla di quell’intervento divino nel cuore dell’uomo che lo rende capace di «conoscenza» del Signore, comunemente chiamato «nuova alleanza» (Ger 31,31). Per questo il profeta della comunione più che della comunicazione è considerato a distanza di secoli «l’amico dei suoi fratelli» (2Mac 15,14), la figura più vicina al Servo del Signore, anzi, secondo la mentalità della gente riferita dall’evangelista Matteo (16,14), una figura messianica.