Francesco. Le nozze con madonna Povertà
Dante si stava rivolgendo, nella basilica inferiore di Assisi, a un pittore che non staremo a descrivere fisicamente né a chiamare in una qualunque maniera, in quanto non sappiamo né che aspetto avesse né quale fosse il suo nome. Lo conosciamo come «il Maestro delle Vele», ne apprezziamo l’arte forse non somma e sappiamo che compì la sua opera in un momento imprecisato fra 1315 e 1320, allorché Dante capitò forse in Assisi.
A voler essere più esatti la sua visita assisana potrebbe più precisamente situarsi un po’ prima, fra 1310 e 1313 più o meno, allorché il poeta risiedeva in quel Casentino che non è poi così lontano dall’Umbria. Ma a dir la verità non riusciamo a lasciar cadere l’ipotesi, tutt’altro che corroborata dai fatti, che il «Maestro delle Vele», senza dubbio direttamente influenzato da quel mirabile testo francescano che è il Sacrum commercium beati Francisci cum domina Paupertate, sia più o meno entrato in contatto anche con l’XI del Paradiso che senza dubbio ne è permeato. Questo, tanto per giocare a carte scoperte. Fin qui l’ipotesi storicamente plausibile o comunque non arbitraria. Il resto, da qui in poi, è fantasia. Il «Maestro delle Vele» raffigurò le nozze mistiche di Francesco con madonna Povertà, al cospetto del Cristo. Quelle nozze delle quali, negli splendidi affreschi dell’équipe giottesca che s’ispirava al magistero di Bonaventura da Bagnoregio, non c’era traccia alcuna.
«Lo ammirate tanto, maestro Dante, che con ironia gli avete affidato il còmpito di far l’apologia del padre spirituale del suo avversario, il Doctor Angelicus Tommaso d’Aquino, dei predicatori!».
«Ora siete davvero ingiusto, padre mio. Non potete certo stare al gioco anche voi di quei malevoli i quali ritengono che, al di là delle schermaglie amichevoli se non fraterne ancorché vivaci tra frati minori e frati predicatori vi sia un’autentica inimicizia. E sapete bene quanto il maestro Bonaventura e il maestro Tommaso siano stati vicini e alleati quando si è trattato di sostenere l’attacco dei magistri saeculares parigini, a cominciare da quel tremendo Sigieri di Brabante!».
«Ma voi, padre, chi siete? E come fate a conoscere così bene una cantica ancor incompleta e provvisoria del lavoro che sto conducendo? Chi ve l’ha riferita o addirittura fatta leggere?».
«Eh via, maestro, non siate così sospettoso… Non ho nulla a che fare con i virtuosi e severi padri inquisitori, per quanto non mi stupirebbe se avessero già da un po’ cominciato a interessarsi ai vostri scritti. Forse non ve ne siete ancora del tutto reso conto: ma voi state diventando una celebrità».
E cominciarono a percorrere le navate, procedendo da nordovest verso est: cioè da lato settentrionale dell’altar maggiore, dal momento che il Sacro Convento era (ed è) «orientato» in modo da porgere la facciata verso il sole che sorge e l’abside verso l’occaso: al contrario dell’orientamento usuale delle chiese cristiane, il cui abside guarda verso Gerusalemme, ma in modo analogo alla basilica della Resurrezione di Gerusalemme stessa: cioè del Santo Sepolcro, il cui corpo basilicale guarda a occidente in quanto là è ubicata la Rotonda la cui centro sorge l’Edicola che sopita la roccia del Sepolcro.
Dante analizzava con attenzione le singole campate, soffermandosi in particolare su alcuni episodi della vita di Francesco che lo avevano colpito e che già aveva descritto nei suoi versi, o che stava descrivendo, o che avrebbe descritto di lì a poco: il colloquio col crocifisso di San Damiano, il sogno del castello e delle armi, i ripetuti incontri con i pontefici, la rinunzia ai beni paterni «dinanzi alla spirital corte» et coram patre, il colloquio col sultano d’Egitto, l’ascesa verso il monte della Verna, il colloquio col sultano d’Egitto e l’ordalìa del fuoco, la fondazione del Presepio a Greccio, le stimmate sul monte della Verna, la morte e lo straziante compianto di Chiara e delle «povere dame» di San Damiano.