Vivere nella luce della Pasqua

Vorrei iniziare questa breve riflessione sulla liturgia della parola di questa domenica dal confronto con alcune notizie che possiamo trovare sui mezzi di comunicazione in questi giorni: da una parte i venti e le azioni di guerra che affliggono sempre più il nostro mondo e le tronfie dichiarazioni dei potenti che blaterano di giustizia, verità, diritti di fronte a un’ opinione pubblica sempre più distratta e rassegnata; dall’altra il gesto umile e universale di papa Francesco che consola un bimbo orfano, spende del tempo per parlare da solo con lui, quasi all’orecchio, facendo spazio al suo dolore e alle sue grandi domande sul senso della vita e della fede: dove sarà mio padre? L’attenzione a questo bimbo, una personalità di importanza mondiale che si ferma ad ascoltarlo, mi sembra un segnale, un annuncio che va controcorrente rispetto all’andazzo generale dove le persone sono tranquillamente messe a tacere quando non sacrificate agli interessi più svariati. 

Cosa c’entra questo con la Pasqua e la liturgia odierna? Vivere nella luce della Pasqua non è avere un atteggiamento disincantato; fare posto alla speranza, all’attenzione ai più piccoli non è tempo perso rispetto al corso della storia; credere nella fraternità non è buonismo irresponsabile.

La prima lettura (At 9,26-31), dopo aver narrato le difficoltà iniziali incontrate da Paolo per unirsi ai discepoli e le minacce degli altri che lo costringono alla fuga, conclude serenamente dicendo che la Chiesa era in pace in tutta la Giudea. Evidentemente è un giudizio che va oltre una considerazione immediata, si tratta di una pace che ha una radice diversa, che non si lascia facilmente mettere in scacco dagli ostacoli ed opposizioni incontrate. Perciò se mettiamo fra parentesi l’annuncio pasquale in nome del realismo o dell’adeguamento alla mentalità corrente finiamo per non comprenderlo più.

Anche l’immagine evangelica della vite e i tralci (Gv 15,1-8) porta con sé una certa ambiguità. Fra il tralcio tagliato e il tralcio potato vi è una qualche differenza? Agli occhi del profano no, agli occhi del contadino sì, ma per l’albero? Non sappiamo cosa l’albero ne pensi, forse sul momento non coglie una gran differenza, il risultato è però la crescita della vita, un rafforzamento, un potenziamento della circolazione della linfa vitale nella pianta. Forse è la stessa cosa per noi, se ci concentriamo sui frutti possiamo essere tratti in inganno: non ci sono perché la pianta sta seccando? Perché non è la stagione, o per altri motivi? Dipende da me o è proprio l’impianto che non funziona? 

In altre parole, il Vangelo è realmente praticabile?  Una risposta la possiamo cogliere solo nel rimanere uniti a Cristo, entrando nel suo mondo, nella sua visione delle cose, accogliendo la luce del suo Spirito. Ci sono molte cose che potrebbero ostacolarci, non ultima la consapevolezza del nostro limite, ma Dio, che è più grande del nostro cuore (cf. 1Gv 3,18-24: 2a lettura,) ci apre vie nuove proprio in mezzo al deserto della nostra esistenza, dove giudizi e considerazioni  assumono un peso specifico diverso.

Ecco che, tornando al gesto di Francesco, l’attenzione al più piccolo, lo stop al cerimoniale per far spazio al grido di chi soffre, rimane un gesto rivoluzionario, l’unico, oggi che perfino fra i credenti si ha poca voglia di perdere tempo con gli emarginati e i sofferenti, come se la fede fosse un abito di circostanza, mentre il compito ricevuto da Cristo è la testimonianza di una pace che sboccia in mezzo alle spine di questo mondo.

*Cappellano del carcere di Prato