Vivere con gioia l’attesa di Gesù
Di fronte all’odierno brano del Vangelo di Marco, brano enigmatico e complesso, lo sforzo da fare non è tanto quello di riunire tutti gli elementi in un discorso concatenato, quanto quello di lasciare ad ogni affermazione il suo significato e soprattutto cogliere l’avvertimento della perenne imminenza della fine, valevole per ogni generazione.
Il tempo finale è annunciato con immagini di catastrofi cosmiche, che sono tratte dagli scritti apocalittici: «il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, gli astri si metteranno a cadere dal cielo». Ma i segni anticipatori e premonitori della fine di questo mondo – ci suggerisce il teologo von Balthasar – li troviamo nello stato stesso del mondo che proprio come tale allude alla sua fine.
Gesù afferma la vicinanza della fine. La fine è, sempre e realmente, vicina ad ogni generazione. È vicina, cioè, alla generazione del lettore di ogni tempo e di ogni luogo. Da qui nasce il compito e l’impegno primario di vegliare. La veglia: un tema che percorre tutto il Nuovo Testamento e nel Vangelo di Marco è sottolineata dal versetto che segue immediatamente il brano odierno: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento … Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate» (Mc 13,33.35-36).
La pianta di fico col suo ramo che si fa tenero e mette le foglie ci dà la certezza che l’estate è vicina. Così, tanti segni nella nostra vita, nella vita dei fratelli, nella storia, sono premonitori, cioè ci dicono che il Signore è vicino, alle porte. È vicino, perché continuamente viene, come ci avverte l’Apocalisse (1,8): «Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».
Egli è «Colui che viene» e noi dovremmo essere coloro che, nella fede cristiana, lo attendono con fiducia ed anzi di questa attesa riempiono gioiosamente la proprio vita. Non ci dice il sacerdote, in ogni celebrazione eucaristica, che «viviamo nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il Signore nostro Gesù Cristo»?
L’unico modo per essere sempre pronti e rimanere fedeli all’eterno è non tradire il momento presente, il cosiddetto «attimo fuggente». L’unico modo per non essere sorpresi dalla venuta del Signore è vivere nell’attesa serena, gioiosa, impegnata a riconoscerlo ed accoglierlo nell’intimo più interiore della nostra vita, nella comunità, nel fratello, nei sacramenti, nella storia. Ed avendo il cuore già oltre le cose, essere noi stessi il segno che Egli viene.
Suor Elisabetta della Trinità scriveva in una lettera: «Credere che un Essere che si chiama Amore abita in noi sempre, in tutti gli istanti del giorno e della notte, e che ci chiede di vivere in società con Lui, è ciò che, ve lo confido, ha trasformato la mia vita in un paradiso anticipato». In un’altra lettera (dell’anno 1906) raccomandava: «Ponete su tutto, vi prego, il sigillo dell’amore; questo solo rimane».
Alle consorelle che, riunite attorno a lei morente, recitano le preghiere degli agonizzanti, Suor Elisabetta ripete: «Al tramonto della vita tutto passa: solo l’amore resta. Bisogna fare tutto per amore» .
*Cardinale