Vincere la paura del dolore e della morte
Letture del 12 febbraio, 6ª domenica del Tempo ordinario: «Il lebbroso se ne starà solo, abiterà, fuori dell’accampamento» (Lv 13,1-2.45-46); «La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia» (Salmo 31); «Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (1 Cor 10,31-11,1); «La lebbra scomparve ed egli guarì» (Mc 1,40-45)
Oggi la lebbra viene considerata in maniera meno alienante di una volta, anche perché le cure mediche e la volontà di servizio di tante persone hanno permesso e permettono di curarla.
È altresì evidente che da parte nostra, spesso, resta un senso di difficoltà nell’avvicinare persone portatrici di handicap o con malattie particolarmente gravi; questi stati ci creano un certo disagio, una tentazione di starne lontani, una suggezione che forse è più timore che altro. Forse spesso è il pensiero della morte che ci fa paura ed, allora, tutto ciò che ci può portare a pensare ad essa, viene allontanato dalla nostra vita e dai nostri interessi.
Eppure anche in quelle persone, soprattutto in loro c’è Gesù, il Gesù che soffre e che, attraverso la sofferenza degli altri, ci permette di purificarci a nostra volta. La sofferenza, allora non è da allontanare né da cercare, ma deve essere vissuta con responsabilità e disponibilità al disegno di Dio, quando arriva nella nostra vita.
Gesù ce ne dona un’ampia dimostrazione nel momento in cui al grido del lebbroso non si allontana, ma stende la mano, lo tocca e lo guarisce. Gesù elimina, così ogni discriminazione nei confronti del lebbroso, lo reintegra nella società, lo fa sentire non un escluso ma uno di noi. Gesù fa questo perché ha compassione dell’uomo, cioè si fa sofferente con lui ed accanto a lui, si unisce al suo soffrire, lo fa diventare un qualcosa di proprio ed allora riesce a superare la rigidità della legge ed a toccarlo. Noi da pochi giorni abbiamo celebrato la festa della presentazione al tempio di Gesù ed, in quella occasione, abbiamo portato una candela nelle nostre processioni da una chiesa all’altra. Voglio credere che ciascuno abbia riflettuto sul valore di quella luce nelle proprie mani, perché in un mondo in cui sembra che l’odio, il male, la lontananza da Dio prendano il sopravvento, noi con quella luce abbiamo voluto gridare la nostra speranza, speranza che la Luce del Risorto vinca le tenebre e trionfi. Per fare questo è necessario che noi ci sentiamo veramente appartenenti a Cristo, che riusciamo a fare ogni cosa in Lui, per Lui, con Lui. Allora sapremo anche aver compassione del nostro prossimo, allora sapremo farci veri compagni di strada con chi soffre. Non possiamo a chi soffre fare soltanto coraggio o esprimere parole spesso vuote, ma dobbiamo far sentire che, magari in silenzio, siamo vicini a loro come alla Croce di Cristo. Questo ci riuscirà meglio se sapremo guardare anche al nostro «essere lebbrosi», cioè al nostro essere peccatori, ed allora capiremo meglio la grandezza di un aiuto, di un gesto di consolazione compassione.
Nutrendoci del Pane di vita potremo trovare questa forza e sostegno e così acclamare, come abbiamo fatto nel salmo: «La tua salvezza, Signore, mi colma di gioia».