Via, verità, vita: un tutt’uno inseparabile

Letture del 20 aprile, 5ª domenica di Pasqua: «Elessero sette uomini pieni di Spirito Santo» (At 6,1-7); «Volgiti a noi, Signore: in te speriamo» (Salmo 32); «Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale» (1 Pt 2,4-9); «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14,1-2)

DI MARCO PRATESI

«Io sono la via, la verità e la vita». In questa affermazione dell’odierna lettura evangelica troviamo quattro elementi che formano un’unità: la persona di Cristo, la via, la verità, la vita. Si tratta di una sintesi degna di nota, che merita di essere scrutata a lungo. La domanda che era stata rivolta al Signore riguardava soltanto la via: «non conosciamo la via» (e neanche la meta – le due cose sono legate), dice Tommaso. Qual è la via? È la domanda alla quale vuole rispondere ogni religione e sapienza; alla quale ciascuno, più o meno implicitamente, di fatto risponde.

Per esplorare questa unità, smembriamone gli elementi. Una via che non è verità? È idolatria e menzogna. Una via che non è vita? È la via della morte, che porta alla perdizione. Una verità che non è via? È una luce che rimane sopra la nostra testa, senza poter diventare orientamento concreto. Una verità che non è vita? È teoria, astrazione incapace di salvare. Una vita che non è via? Non è per noi, resta fuori dalla nostra portata e ci lascia preda della morte. Una vita che non è verità? È simulacro, apparenza di vita, ingannevole bagliore sotto il quale si cela in realtà la morte.

Via-verità-vita formano un tutt’uno inseparabile. La cosa meravigliosa è che tutto ciò, questa unità, questa sintesi, è una persona, un vivente: la persona divino-umana del Cristo risorto. Egli è per noi via, perché nella comunione personale con lui ci si apre concretamente la possibilità di un cammino nella luce, un cammino che porta alla vita: «chi segue me non cammina nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12). «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna» (Gv 3,36). Per il cristiano la via non può essere una semplice morale impersonale; la verità una semplice dottrina; la vita una realtà dipendente da meccanismi fisici. In tempi di materialismo siamo indotti a pensare che la realtà «più reale», più fondante, sia quella impersonale, fisica, oggetto delle scienze. Da quel livello, per complessificazione progressiva, si arriverebbe alle forme di vita superiori, e finalmente all’uomo. Mi pare che questo Vangelo capovolga la prospettiva: il fondamento della realtà è la realtà personale, anzi la realtà tri-personale di Dio. Quella è la realtà vera, in senso forte, dalla quale nasce il resto, e della quale il mondo è riflesso. Ora, da questo mondo è partito, discendendo sino a noi, un raggio di luce, che è il Verbo incarnato. Si tratta dunque di seguire lui, di credere in lui. Tutto il Vangelo di Giovanni è una grande catechesi cristologica.

Essere cristiani significa imitare il discepolo amato, appoggiare la testa sul petto del Signore, e qui trovare la via da percorrere, una verità che si faccia vita. Non a caso l’episodio avviene nel contesto della cena pasquale di Gesù. Quel discepolo avverte la vita che pulsa in Gesù, e che lo spinge imperiosamente a servire i suoi amici dando la vita per loro. In concreto: bisogna lasciarsi servire da Gesù per servire; lasciarsi amare per amare. In ciò troviamo la strada per raggiungere il Signore laddove egli, nella sua Pasqua, ci ha preceduto e rimane in nostra attesa: nel Padre.

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