«Via, verità e vita»: la carta d’identità di Gesù
In questa domenica la liturgia inizia una riflessione che ci orienta decisamente verso l’altro «polo» del tempo pasquale, ovvero la Pentecoste. Il Vangelo ci presenta il Cristo che, ancor prima della sua morte e resurrezione, comunica ai suoi discepoli (con qualche difficoltà) la sua «collocazione» all’interno del disegno di salvezza del Padre, e la qualità della sua relazione con Lui (Gv 14,1-12).
La Pasqua, al di là dell’evento storico, diventa la chiave di comprensione della vita dell’uomo e del cosmo, l’ordito che sorregge la trama della storia e la conduce al suo compimento. Un «tessuto» che trova la sua concretezza nella persona di Cristo, che è per noi via, verità e vita. Sono tre elementi che non sono solo una sorta di «carta di identità» del Messia (e che, penso, molti di noi ricordano sulla copertina del «vangelino» per il catechismo) ma realtà presenti nella vita di ciascuno, intersecate e in relazione fra loro. Ognuno di noi in qualche modo è chiamato a confrontarsi con una verità, almeno parziale, sulla propria vita; ognuno percorre una via in modo più o meno cosciente. Possono sorgere domande su queste realtà, anche se il nostro non sembra più essere il tempo delle domande: cos’è davvero la vita, quale il suo senso? Così pure le domande sulla verità: vi è la possibilità di stabilire punti fermi, oppure siamo in balia della casualità, quando non dell’arbitrio? Assistiamo per certi versi al recupero della centralità della vita, alle volte assimilata a un puro e semplice vitalismo, al muoversi per muoversi, al presenzialismo assoluto; in altri casi alla sua più totale fungibilità, scambiata e sacrificata sull’altare del proprio egocentrismo, che ha nel femminicidio solo una delle sue manifestazioni più eclatanti. Anche il concetto di verità conosce una riaffermazione che non conosce dubbio o ripensamento, assolutizzata e segnata da un alone mortifero, usata come una mazza per estirpare l’avversario, e che ha nei fondamentalismi religiosi o politici il suo volto più truce.
All’opposto vi è chi parla di post-verità, di sdoganamento per l’utilizzo comune, perfino socialmente accettato, della bufala, della notizia tendenziosa, in una attualizzazione pericolosa dello stile del «Grande fratello» (il romanzo, non il reality) dove bastava cambiare il nome a realtà negative («brutto» diventava «sbello») per non provocare reazioni e far diventare tutto più accettabile. Ora Gesù Cristo ci parla di una vita che necessita di verità, di trovare un senso, un’autenticità e non solo un cumulo di esperienze o sensazioni; ci parla di una verità che diventi vita, che non schiacci l’uomo concreto nelle categorie e nei concetti, che non divenga neppure un’idolatria che perda il contatto con la realtà e il limite di tutto ciò che esiste.
Gesù è anche la via: questo ci parla di umanità, di fatica, di passi successivi, di rischio di sbagliare strada; la sua verità percorre le strade dell’uomo, non teme di confrontarsi con orecchi incapaci di comprendere, diventa la pazienza dell’educatore, l’abbraccio della madre. E’ capace di silenzio e di attesa e di porsi in sintonia coi ritmi della vita, che scopre la sua verità, ma che fornisce a quest’ultima il quadro in cui esprimersi. La risposta della Chiesa degli inizi alle nuove necessità (At 6, 1-7; 1a lettura) rende il senso di questo modo di essere: ricercare nuovi modi di esprimere la verità del Vangelo per una vita sempre più autentica e fraterna, cammino valido per la comunità di ogni tempo.
*Cappellano del carcere di Prato