Una Parola che penetra e divide
Il brano evangelico di questa domenica (Lc 12, 49-53) inferisce un colpo mortale all’idea borghese di una religione, di una spiritualità conformista e al servizio dello «status quo». L’affermazione di Gesù che, a sua detta, porta il fuoco sulla terra e la divisione nei legami più sacri, come quelli familiari, è come minimo sconcertante. È vero che possiamo essere tentati di spiritualizzare il tutto, proiettando tutto questo dramma alla fine del tempo, nell’ultimo giudizio dove i segreti dei cuori saranno rivelati e verranno alla ribalta molte sorprese e risultati inaspettati (cf. 1Cor 4,5); ciò non toglie che il sapore sovversivo di questo brano rimanga molto netto. Del resto più di una volta la Scrittura parla chiaramente del Cristo come pietra di scandalo, Lui incarnazione di una Parola che penetra e divide perfino l’uomo in se stesso (cf. Eb 4,12), immagine abbastanza cruenta e «chirurgica» ma che mette in luce il bisogno dell’uomo di essere ricreato nel profondo e non solo di un «lifting» superficiale.
Lo stesso Geremia, molti anni prima, ha dovuto sopportare il rifiuto e rischiare di morire per aver gettato in faccia al popolo la realtà di una confidenza superficiale nel tempio e nella protezione di un Dio ridotto a feticcio (Ger 38, 4-10). Egli si scontra così con le accuse che il potere di ogni tempo utilizza contro chi ne mette in dubbio i fondamenti: il disfattismo, lo scoraggiamento, l’antipatriottismo, la connivenza con il nemico. Da sempre infatti il potere cerca di insabbiare i propri errori, di cercare un nemico o addirittura di crearlo per indirizzare le angosce della gente, le insicurezze e le paure altrove, perché non venga messo in questione l’assetto, i valori tradizionali, «the way of life» della società perfino quando tutto ciò è palesemente ingiusto, insensato e non porta da nessuna parte.
Geremia prima e Gesù dopo (assieme a tanti altri profeti) sconteranno questo richiamo a una verità e a una conversione più profonda. In una commistione fra sacro e profano, fra religioso e politico, fra Caifa e Pilato, si troveranno al centro di un fuoco incrociato che li espellerà dalla comunità che hanno osato criticare, gettati in una cisterna o in una discarica come il Golgota, comunque «fuori dalla città» (Eb 13,12). Un’ostilità che non ha fermato né il profeta né tantomeno Cristo, una «resistenza» che è importante riprendere e vivere anche noi, chiamati a tenere fisso lo sguardo su di lui (Eb 14, 1-4) e non sui simulacri che si ripresentano con nomi e volti diversi in ogni epoca.
*Cappellano del Carcere di Prato