Un granellino di fede

Il brano di vangelo questa domenica ci invita a riflettere sulla «fede» e sul «servizio», qualità che devono caratterizzare i discepoli del Signore, soprattutto quanti hanno il compito di annunciare il vangelo a tutti gli uomini, gli apostoli. Gesù, infatti, sta rispondendo alla loro richiesta: «Signore, accresci in noi la fede». Dice loro che basta pochissima fede per fare cose stupefacenti come trapiantare un gelso nel mare. Mi chiedo: possibile che gli apostoli non avessero neanche un «granellino» di fede? Eppure hanno lasciato tutto per seguire il Maestro e lo stanno seguendo da un bel po’ di tempo; ascoltano la sua parola; non hanno pietra, dove posare il capo; partecipano alla missione di annunciare il regno di Dio, … e non hanno neanche un «nulla» di fede, com’è un «nulla» il granellino di senape? Evidentemente c’è un equivoco: gli apostoli e Gesù intendono in modo diverso la fede. Gli apostoli intendono la fede come un qualcosa che ci può essere o no, che può crescere o diminuire, essere al lumicino o nella pienezza di fiamma, insomma, una realtà da misurare.

Gesù, invece, fa capire che, se la fede è fede, non è soggetta a misurazione perché è dono di Dio che il credente accoglie fidandosi e affidandosi a Lui che gli si è rivelato come Misericordia. Teniamo presente, infatti, che gli apostoli chiedono a Gesù di accrescere loro la fede, dopo che il Maestro ha parlato della necessità di perdonare «sempre» a chi continuamente ti chiede il perdono. Di fronte a questa indicazione del Maestro si sentono sgomenti e chiedono l’aumento della fede, credendo di averne poca. Con la sua risposta, Gesù fa comprendere loro che di fede ne hanno neppure un «nulla» (il granellino di senape), perché la fede non è soggetta a misurazione: o ci si fida o non ci si fida di Dio. Se dico di fidarmi, è assurdo che pensi «mi fido sì, ma…». Chi si fida di Dio si abbandona totalmente all’opera di Dio, «onnipotente nell’amore e della misericordia».

L’altro punto di riflessione, dicevo sopra, è il servizio. Per farci comprendere la vera natura del «servizio» cristiano, Luca ci narra una parabola. Come quella dell’amministratore infedele, anche questa parabola ci sorprende e ci disturba, perché ci mostra un padrone piuttosto esigente, quasi disumano, per nulla comprensivo nei confronti del servo che, avendo lavorato tutto il giorno, avrebbe bisogno di riposare e di mangiare subito e non di servirlo a tavola. C’è un altro particolare che ci rende ostica la parabola. Gesù dichiara che anche nel caso in cui il servo avesse fatto tutto quello che doveva, deve riconoscersi servo «inutile». Così anche noi. Perché? Evidentemente perché Gesù intende il «servizio» in modo diverso da come lo intendiamo e lo pratichiamo noi.   

Vediamo in modo un pochino più approfondito. Chi è Gesù? «Colui che è venuto in mezzo a noi come colui che serve»… e tutti abbiamo ben impressa nella mente l’immagine stupenda e sconvolgente del Signore che lava i piedi agli apostoli. Inoltre Gesù ci ha detto anche che al banchetto del Regno, sarà il re stesso (Dio) a passare e a servire i servi trovati vigilanti al ritorno dello sposo dalle nozze. Il servizio, allora, è amore, meglio, un’altra definizione che ne rende evidente l’operosità. Il credente fa l’esperienza sorprendente di un Dio che lo serve e, con lo stesso amore ricevuto, si pone al servizio dei fratelli. Siccome il «servizio di Dio» nei nostri confronti, è un atto di puro amore e di totale gratuità, anche il servo si metterà a servizio senza aspettarsi nulla in contraccambio, perché sazio di quest’amore. Il servizio fatto, certo che è utile, ma non va fatto per ricavarci un utile, ecco cosa vuole dirci Gesù. Madre Teresa di Calcutta afferma: «Nel nostro servizio non contano i risultati, ma quanto amore metti in ciò che fai. Il servizio è più vero, più importante dell’utile che ne deriva».

Tu ed io, abbiamo un «granellino» di fede? Ci affidiamo a Dio in questo tempo di crisi economica? Come usiamo, proprio in questo tempo, i beni che Dio ci ha dato? Di fronte alla «notte» del mondo, che pare aver perso ogni valore di riferimento, siamo uomini e donne di speranza? Viviamo, da ora, ciò che speriamo oppure, anche noi, pensiamo che non valga la pena «operare la speranza» perché è fare un buco nell’acqua? In un mondo egoista chiuso in se stesso, siamo capaci di uscire da noi stessi e metterci a servizio degli altri? Sappiamo vedere i «miracoli» che oggi tante persone umili compiono nel più assoluto nascondimento? E noi, tu ed io, ne compiamo? C’è qualche persona che aspetta il nostro «servizio»? Glielo offriremo?