Tutto a tutti

DI GIACOMO BABINI Vescovo emerito di Grosseto8 febbraio, 5ª Domenica del Tempo Ordinario. Gesù  si trova in mezzo a persone che conoscono soltanto una esistenza piena di sofferenze senza altri orizzonti. Il suo primo atteggiamento è quello di dimostrarsi  sensibile ai loro bisogni e guarisce gli ammalati. Poi scompare per pregare e per insegnarci, con il suo esempio, che se non troviamo motivazioni più grandi le nostre giornate toppo piene di cose ci tolgono ogni speranza. I Lettura: «La vita è una milizia» La prima lettura fa da sfondo agli interventi di Gesù narrati nel Vangelo. All’infinito dolore dell’uomo Dio risponde rivelando cose del tutto nuove per la mentalità umana del suo tempo. La Paternità di Dio, la vita eterna.

Giobbe nella prima lettura definisce una «milizia» la vita dell’uomo sulla terra, un combattimento senza speranza di vittoria. L’uomo non è un signore, ma un «servo sitibondo di ombre», non un datore di lavoro (questi è Dio), ma un «mercenario». Questa è una caratteristica universale della transitoria vita umana.

Cristo e il suo apostolo non hanno nulla da ridire contro questa descrizione della vita umana. Solo che l’«inquietudine», di cui parla Giobbe, è trasformata nel Nuovo Testamento in zelo indomabile e lavoro per Dio e per il suo Regno, sia che ciò avvenga mediante l’azione esterna o con l’impegno della preghiera. Anche la preghiera appunto è indispensabile per l’umanità affinché sappia  difendere la sua via verso la libertà, che è quella di distinguersi dagli animali e di avvicinarsi agli angeli.

Vangelo: «Per questo sono venuto»Dal Vangelo si può vedere che il lavoro, da Gesù compiuto sulla terra, era un puro sovraffaticamento. Egli doveva «ricondurre le pecore smarrite di Israele», un compito reso pressoché impossibile, dalla  situazione spirituale e politica del paese, per il quale tuttavia egli impegna le sue forze. Mentre guarisce la suocera di Pietro, «tutta la città si era raccolta davanti alla porta», e lui prodiga i suoi benefici. Ancora prima dell’alba egli si alza, per poter finalmente pregare nella solitudine, ma lo si insegue di nuovo con il messaggio: «tutti ti cercano». Sono gli stessi della sera precedente. Gesù non si scusa con il motivo che vuole pregare, ma  schiva l’invito a ritornare ricordando che deve fare  altro lavoro: nei «villaggi vicini, affinché anche là predichi», perché «per questo sono venuto». E i villaggi sono solo un inizio, «egli percorreva tutta la Galilea». Il vero messaggero cristiano della fede può prendere per sé l’esempio nello zelo instancabile di Gesù. Tante volte le difficoltà  sembrano insormontabili ma non si deve dimenticare che il Padre ci ha fatto il dono di prenderci con Sé in questa opera di  amore che nasce da Lui e la porterà a compimento. II Lettura: «Diventato schiavo di tutti» Paolo stando alla seconda lettura, segue più da vicino possibile l’esempio del Signore. Egli ha da Dio l’incarico di annunciare il Vangelo, questo è il suo dovere, non una sua libera decisione. Per mostrare a Dio la sua libera obbedienza, può rinunciare a una remunerazione meritata, ma nulla lo libera dal rigoroso dovere di impegnare se stesso in ogni modo per il compito di cui è incaricato.

Egli non viene come il grande padrone, che è nel possesso della verità , ma come lo schiavo al servizio di tutti. Dice (nei versetti qui citati) d’essere schiavo degli ebrei, di trasferirsi nella loro mentalità per parlare ad essi del Messia, d’essere schiavo dei pagani per annunziare loro il Salvatore del mondo, e infine (così continua la lettura) d’essere anche schiavo dei deboli (benché stimi se stesso come un forte) per guadagnare se possibile anche i poco intelligenti, gli eternamente indugianti, i mutevoli d’animo.

Non viene lasciato fuori nessuno: «Mi sono fatto tutto a tutti!», e questo non nella sicurezza di aver già parte alla promessa del Vangelo, ma nella speranza di partecipare egli pure a quanto annuncia agli altri.