Tutti uguali, primi ed ultimi

18 settembre, 25ª Domenica del Tempo ordinario. Letture: Is 55,6-9; Fil 1,20c-24-27a; Mt 20,1-16. «Andate anche voi nella vigna»di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. La parabola evangelica del proprietario terriero o padrone di casa che prende a giornata lavoratori per la sua vigna prosegue un discorso avviato nei versetti che la precedono, a proposito della ricompensa che spetta a coloro che hanno lasciato tutto per seguire Gesù. Tale ricompensa, che consiste nell’ ingresso nella nuova creazione o regno dei cieli o vita eterna, è uguale sia per i primi chiamati che per gli ultimi (Mt 19,27-30). Un uguale trattamento su cui ritorna il Vangelo di oggi, una parabola sulla chiamata di alcuni braccianti al lavoro, chi alle sei e alle nove del mattino, chi a  mezzogiorno, e chi alle tre del pomeriggio e alle cinque di sera. Al prezzo di un denaro d’argento, buona paga giornaliera (Mt 20,1-7). Chiamata a cui segue il pagamento del salario che avveniva a sera, il momento di dare quanto spettava nel diritto giudaico di allora (Lv 19,3; Dt 24,15); salario  causa di sconcerto a motivo di una retribuzione accordata a tutti in uguale misura, senza tener conto delle diverse ore di lavoro  e della diversa fatica sopportata. Una mormorazione che costringe il «signore della vigna» (Mt 20,8), espressione cristologica, a intervenire (Mt 20,8-15).

Questa la trama di un racconto che si conclude con il detto: «Così gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi» (Mt 20,16), che vuol dire «così tutti saranno uguali».

2. Ma quali le ragioni addotte dai chiamati per primi a giustificazione del loro lamentarsi, e quali le ragioni addotte dal signore della vigna a giustificazione del suo comportamento? Questo è l’interrogativo che domanda una risposta, è in gioco  la nozione di ciò che è giusto. Non lo è, dicono quelli della prima ora, il fatto che «tu hai fatto uguale a noi» (Mt 20,12) quelli della ultima  e delle altre ore.

Non è in discussione il salario debitamente retribuito ma proprio l’avere trattato tutti alla stessa maniera disattendendo ogni serio modello contrattuale che non può prescindere dalla logica meritocratica, tra l’altro legata alle ore e ai pesi del lavoro oltre ogni ingiusto livellamento. Dinanzi a un simile modo di ragionare, dotato di una sua logica e sempre attuale al pari del sentirsi diversi e invidiati in ragione del proprio lavoro-guadagno, il signore della vigna espone a più riprese e con chiarezza il suo peculiare modo di pensare, di sentire e di comportarsi (Is 55,6-9), puntualizzando subito che esso non contraddice minimamente la giustizia, aspetto tra l’altro condiviso dal suo interlocutore: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?» (Mt 20,13). Ma immediatamente aggiungendo: «Io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te» (Mt 20,14), una decisione insindacabile (Mt 20,15) unicamente mossa da una volontà magnanima e liberale, espressione del principio di gratuità. Per concludere con un perentorio: «Oppure tu sei invidioso-malvagio perché io sono buono?» (Mt 20,15). A voler dire: Dio il solo buono (Mt 19,17) in Gesù signore della vigna non solo non si stanca mai di chiamare operai a qualsiasi ora ma, in una bontà non appagata da una rigida logica di giustizia distributiva, colma dell’abbondanza dei suoi beni tanto i primi che gli ultimi.

Questo è il suo metro di misura che senza fare ingiustizia, non capriccioso quindi, ribalta la logica del merito sostituendola con quella dell’ a ciascuno secondo quanto è giusto per una vita e un futuro egualmente dignitosi, accomunando tutti nella gioia in ragione di un cuore che vede negli uni e negli altri null’altro che figli amati. Sguardo che manca ai primi i quali, sulle orme del figlio maggiore della parabola lucana, non vedono negli ultimi dei fratelli in ragione di un cuore geloso di quanto ad essi solo è dovuto e invidioso di quanto hanno o è dato gratuitamente agli altri facendo uguaglianza. Tristi perché gli altri sono stati immeritatamente trattati come loro, frustati perché impediti nel sottile piacere di essere meritatamente diversi e superiori.

3. L’appello da parte di Gesù è rivolto all’Israele dei giusti, i chiamati per primi, perché gioiscano della liberalità gratuita di Dio in Gesù il Signore nei confronti degli ultimi, i peccatori, i pubblicani, gli umili della terra e i pagani tutti elevando a eguale dignità di figli di Dio. L’appello poi è rivolto alla comunità matteana perché l’ala giudeo-cristiana, i primi, accolga l’ala etnico-cristiana, gli ultimi, su un piede di eguale parità senza vantare privilegi di primogenitura. L’ appello infine è rivolto alle Chiese di oggi iniziate a leggere i membri delle altre religioni e quanti obbediscono alla loro coscienza degli amati e dei salvati da Dio non nonostante questo, ma all’interno dei loro cammini umani. Mentre il primo nella Chiesa cattolica, il vescovo di Roma, non a caso definisce se stesso «servo dei servi di Dio», l’ultimo a tutti lavanda dei piedi, a tutti uguale in filialità, fraternità e eredità eterna. Padrone di nessuna coscienza. E gli esempi possono continuare.