Trasfigurazione: c’è Cristo e basta

Una delle affermazioni più tradizionali e ricorrenti riguardante le Trasfigurazione del Signore (Mt 17,1-9) è che questa sia stata una sorta di «vaccinazione» degli apostoli per sopportare lo scandalo della croce che da lì a poco li avrebbe sconvolti, una rassicurazione preventiva sulla qualità divina di Cristo, da assumere come punto di partenza per ogni passo ulteriore. Potrebbe anche essere così, ma conosciamo dalla narrazione evangelica pure il profondo sconcerto provocato dalla morte di Cristo nel gruppo dei discepoli, di come, quindi, quest’ esperienza non sia servita granché.

Eppure c’è del vero in questa affermazione: l’esito finale dell’episodio della trasfigurazione è che gli apostoli non vedono più nessuno se non Gesù solo (v.8), egli ha catalizzato su di sé gli sguardi, i timori, le interpretazioni dei testimoni. Sembra quasi di sentire il silenzio che, una volta cessata questa illuminazione e questa voce soprannaturale, circonda la persona di Cristo, un silenzio che riempie orecchi e occhi dei discepoli fino ad allora fortemente sollecitati: non c’è più niente da vedere, da dire, da udire, c’è Cristo e basta. Forse è quello che viene espresso anche nel brano tratto dalla lettera di Pietro nella liturgia di oggi (2Pt 1,16-19). La parola profetica, pur solidissima, è una lampada che brilla finché non sorga la luce: Cristo risorto dai morti, come dice la liturgia di Pasqua. Un’altra possibilità di traduzione è quella che afferma che «abbiamo una conferma migliore della parola profetica» (come nell’edizione precedente del lezionario), sottolineando ancor di più il passaggio a un rapporto nuovo con Dio in Cristo.

Forse è questa l’esperienza che si è radicata in Pietro e gli altri: la Trasfigurazione non è servita a renderli più coraggiosi, forse neppure a capire il perché di questo strano percorso del Messia, ma la convinzione della centralità di Cristo è assoluta. In ogni caso è chiaro per loro che non esiste altra via, altra parola da seguire, nessun’altra salvezza a disposizione (cf. Gv 6,68).

Il silenzio come parola definitiva, come chiusura di ogni altro progetto o strada che non sia quella di Cristo è stata assimilata da loro e con essa faranno i conti, sotto la croce, sulla soglia della tomba, lungo la via di Emmaus e dovunque l’annunzio evangelico li sospingerà. Anche per chi, come noi, non era sul Tabor allora, non esiste altra strada del silenzio di ogni altra parola che non sia il Cristo, che ricapitola, assume e verifica ogni nostra esperienza, ogni passo del nostro cammino.

*cappellano del carcere di Prato