Tra conformità e cambiamento
Una chiave di comprensione delle letture che la liturgia di oggi ci propone ci è offerta dall’apostolo Paolo (Rm 12, 1-2; 2°a lettura), chiave necessaria per capire anche la vicenda interiore di due personaggi che incontriamo in questi brani.
Il primo è Geremia (Ger 20, 7-9; 1a lettura) che esprime nel suo lamento tutta la difficoltà a percorrere il sentiero della profezia nel quale Dio lo ha posto. Non si tratta del fanatico fideista che gioca tutto nella sua contrapposizione con il mondo, l’uomo del «molti nemici, molto onore» che gode della propria diversità e della superiorità morale sui trogloditi che lo circondano. Non si tratta neanche del «quaquaraqua» che non ha in coraggio delle proprie idee e che ha paura della propria ombra. Probabilmente Geremia sente la propria inadeguatezza ad accogliere una parola che lo sovrasta, un’ incapacità che è radicata nel suo stesso essere mentre si trova a dover proclamare l’inaudita vicinanza di Dio, fuoco divorante capace di consumare ben altro che la sua misera realtà di uomo. Eppure c’è un «eppure», uno spossessamento, un trovarsi lanciati oltre se stessi che è ancora più incredibile e che, paradossalmente, solo può dare pace. Solo avventurandosi in questa terra o in questo oceano, solo mollando gli ormeggi e le redini è possibile, incredibile ma vero, trovare stabilità e vita.
Pietro fa un’ esperienza simile, anche se con toni meno accorati, quando pretende di remare contro al percorso che Cristo ha intrapreso (Mt 16, 21-27). Geremia comprende e dà un nome alla propria esperienza decidendosi ad abbandonare le sue riserve, Pietro probabilmente è più coriaceo, la sua determinazione ad ancorarsi a punti fermi lo accompagnerà ancora per diverso tempo. La reprimenda di Cristo, che offre a lui la stessa chiave di lettura che Geremia ha distillato dal silenzio del suo Dio, «chi vuole salvare la propria vita la perderà»(v. 25) non sembra sul momento provocare un qualche effetto in lui, che si ritira nel suo silenzio ma continuerà, in diverse occasioni, a riproporre caparbiamente il suo programma; comunque la strada è tracciata.
Come dicevo all’inizio, è Paolo che, con il modo che gli è proprio, propone anche a noi una chiave di lettura che riprende l’esperienza di questi due personaggi. In fondo nella nostra vita c’è sempre una dialettica tra conformità e cambiamento. È il dato centrale di ogni esperienza culturale: il soggetto è plasmato dalla cultura alla quale appartiene, lingua, tradizioni, usanze, valori, ma anche influisce su di essa modificandone, attraverso le proprie scelte, molte sue componenti. L’accento di Paolo è posato maggiormente sulla necessità di una trasformazione della propria mentalità rispetto al conformismo, agli schemi presenti nel mondo circostante (cf. v.2). Forse egli si riferiva principalmente al mondo pagano che circondava le neonate comunità cristiane ma certo vale anche per l’oggi. Sacralizzare la propria cultura, i propri valori, la modalità di espressione della stessa fede è sempre un rischio, l’omologazione è un virus sempre attivo e che si ricombina in forme molteplici. La trasformazione della propria mentalità ci apre agli orizzonti intuiti da Geremia, manifestati pienamente in Cristo, verso quella «rimozione del velo» (cf. 2 Cor 3,14) che è la meta di ogni cercatore di verità e autenticità nella propria vita.
*Cappellano del carcere di Prato