Testimoniare Gesù può turbare il nostro «quieto vivere»

Letture del 28 febbraio, 4ª domenica del Tempo Ordinario: «Ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,4-5.17-19); «La mia bocca annunzierà la tua giustizia» (Salmo 70); «Rimagono la fede, la speranza, la carità; ma più di tutte la più grande è la carità» (1 Cor 12,31-13,13); «Gesù come Elia ed Eliseo è mandato non per i soli Giudei» (Lc 4,21-30)

DI MARCO DINO BROGIIl brano di San Luca proposto alla nostra riflessione (terza lettura) si riallaccia al Vangelo di domenica scorsa sin dalle prime parole, dato che si apre ripetendone l’ultimo versetto: Gesù realizza con la sua presenza le parole del Profeta Isaia.

Egli è ancora all’inizio del ministero pubblico, ma i suoi miracoli lo hanno già reso famoso, ed i suoi concittadini si attendono che egli operi prodigi anche in mezzo a loro; parrebbe anzi che siano i prodigi operati da uno dei loro ad incuriosirli e interessarli, molto più delle sue parole e dei suoi insegnamenti, e per questo motivo egli oppone loro un netto rifiuto, e ricorda i Profeti che avevano preferito gli stranieri ai loro connazionali, come Elia che assiste la Vedova di Zarepta di Sidone, ed Eliseo, che risana Naaman il Siro.

I Nazaretani reagiscono con violenza e lo scacciano dalla loro città, e così Gesù rivive le sofferenze di Geremia il quale, pur essendo perseguitato dai suoi, non può esimersi dal trasmettere le parole di Dio, sebbene in questo modo egli si faccia maggiormente odiare da loro.

Egli infatti non si può sottrarre alla missione di profeta, per la quale era stato pensato ancor prima d’aver incominciato ad esistere: Iddio, che lo conosceva ancor prima di averlo formato nel grembo materno, lo aveva sin da quel momento consacrato, lo aveva cioè destinato al culto (prima lettura).

Il brano scelto per questa Liturgia non presenta che alcuni momenti dell’intero racconto della vocazione di Geremia: il prescelto non osa accettare, e proclama la sua inadeguatezza, sapendo quanto sia gravoso il compito che il Signore gli vuol affidare, ma poi accetta, confortato dalla promessa del Signore, di «renderlo una città fortificata», e di essergli vicino ed aiutarlo a non soccombere per opera di quanti lotteranno contro di lui.

Il Signore non gli promette l’eliminazione della lotta, ma soltanto la forza per non uscirne perdente.

È questa una tra le varie chiamate riferite dalla S. Scrittura, ma certamente quella dai risvolti più drammatici, che ci sollecita a riflettere sugli impegni connessi ad ogni vocazione, a partire da quella di ciascuno di noi.Anche il testo tratto dalla Lettera di San Paolo ai Corinzi (seconda lettura) si apre con le ultime parole del brano della domenica precedente, che esortavano i destinatari ad aspirare, tra i tanti carismi da lui allora elencati, ad altri, «più grandi», e prosegue con il grandioso inno alla Carità, un inno che si deve ascoltare con attenzione e meditare profondamente, mentre ogni tentativo di parafrasi ne indebolirebbe la tensione e lo slancio lirico.

Potessimo anche noi, impegnati dal Sacramento della Confermazione a rendere testimonianza al Signore, essere spronati dalla carità e sentirci, come il Profeta Geremia, «sedotti» da Dio (Ier.,20, 7-9), con un fuoco nel petto che ci impedisce di tacere, anche quando il proclamare «le meraviglie del Signore» può turbare il nostro quieto vivere!