«Sono venuto perché abbiate la vita»

Ho voluto mettere nel titolo di questo commento, le parole che Gesù dice a metà del discorso sul Buon Pastore, riportate nel capitolo dieci del vangelo di Giovanni. Dopo aver sostenuto che lui è la porta dell’ovile e che i pastori venuti prima di lui sono ladri e briganti, afferma: «Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere: io sono venuto perché (le pecore) abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Nel vangelo di questa domenica leggiamo che Gesù richiama alla vita un giovane, figlio unico di una madre vedova. Un fatto straordinario che ha sbalordito le persone, tanto che provano timore, ma che, subito dopo, lodano e glorificano Dio per aver mandato un tale «grande» profeta e, soprattutto, perché in questo profeta riconoscono la «visita di Dio al suo popolo». La « visita di Dio» è opera di misericordia, di amore e di salvezza come proclama Zaccaria nel «cantico del Benedictus».

Chiediamoci: la «vita in abbondanza» che Gesù è venuto a portare a tutti gli uomini, è quella che ha ridonato al giovane figlio della vedova di Nain? Credo che tutti noi rispondiamo di no, perché la «vita in abbondanza», cioè piena, quella che non finisce mai, non è la vita terrena a cui il giovane è stato richiamato, ma la vita stessa di Gesù, quella vita divina che dona a chi crede in Lui, vita che ha inizio già qui sulla terra, ma raggiungerà la pienezza al termine del  pellegrinaggio terreno. Qualcuno allora potrebbe chiedersi il perché dell’episodio e della sua narrazione. Scrive Sant’Agostino: «Tutto quello che (Gesù) ha fatto per la salute dei corpi, non l’ha fatto perché fosse eterno. (Tuttavia alla fine egli donerà anche al corpo la salvezza eterna.) Ma dal momento che la gente non credeva alle cose che non si vedono, si è servito delle cose che si vedono per elevare la fede fino a quelle che non si vedono». Pertanto, l’episodio della rianimazione del giovane della vedova di Nain ci deve aiutare a comprendere il vero motivo per cui Gesù è venuto incontro all’umanità incapace di darsi la vita, quella vera a cui gli uomini aspirano, ma che non riescono a darsi.

L’episodio, tuttavia, non ha solo una funzione di rivelazione della vera identità di Gesù, egli è «il Signore» che dà la vita divina, ma ha anche un grande valore per come dovremmo vivere su questa terra. Infatti ci svela un tratto fondamentale dell’umanità di Gesù e ci insegna come dobbiamo comportarci con quanti, accanto a noi nella carovana umana, sono colpiti da gravi disgrazie e da eventi crudeli, che stanno avvenendo anche oggi. L’evangelista Luca ci dice che Gesù, avvicinandosi, col suo corteo al corteo di morte, vede la madre del giovane portato alla sepoltura, ne ebbe «grande compassione». Potremmo anche dire che ne ebbe «misericordia». E la misericordia è amore viscerale, amore che scuote l’uomo dal più profondo di sé. Mosso da questa misericordia, Gesù «restituì il figlio alla madre». Cosa ci dice questo se non che anche noi, componenti del corteo di Cristo, dobbiamo rivolgerci agli uomini di sempre, ma soprattutto a quelli di oggi, con misericordia?

Usare misericordia è l’invito continuo che Papa Francesco fa oggi a tutta la Chiesa e, in particolare, ai sacerdoti che della misericordia divina celebrano il sacramento. Oggi gli uomini hanno bisogno di misericordia più che di verità, comunque non accettano una verità se non è accompagnata da misericordia. Che compito grande è questo per la Chiesa e per ciascun cristiano! Un compito che è cartina di tornasole della nostra fede in un Dio che nel Crocifisso Risorto ha usato e usa misericordia per tutti noi. Come quella di Gesù, la nostra misericordia non può essere inattiva, ma viva. Deve portarci a compiere opere di misericordia sulla falsariga di quelle compiute dal Samaritano nei confronti del poveretto trovato mezzo morto per strada. D’altronde Gesù, non si è comportato da Buon Samaritano nei confronti della vedova di Nain?Pertanto, riallacciandomi al pensiero di Sant’Agostino, il visibile fatto da Gesù ci dice che dobbiamo avere «compassione» per chi si trova nel dolore, l’invisibile ci dice che Gesù è venuto non per rendere eterna la vita su questa terra, ma per darci la «vita eterna», quella che, quale Figlio di Dio, vive in perfetta comunione con il Padre e lo Spirito Santo. Per cui, potremmo concludere che «credere» l’invisibile, esige «vivere in modo nuovo» il visibile. Solo così, infatti, testimoniamo in modo credibile la fede.