So in chi ho posto la fede

21 agosto, 21ª Domenica del Tempo ordinario. Letture: Is 22,19-23;  Rm 11,33-36;  Mt 16,13-20. «Tu sei Pietro, e a te darò le chiavi del regno dei cieli»di GIANCARLO BRUNIEremo delle Stinche – Panzano in Chianti

1. Credere nella esperienza cristiana è dire sì a un Tu che ti vede, ti ama, ti chiama, ti chiede di stare con lui, ti rende partecipe del suo sogno, ti invia ad annunciarlo e ti prepara un futuro perché tu sia sempre dove lui è. Così i racconti di vocazione nei vangeli. Un sì non nella costrizione ma in una libertà amante e consapevole; esso comporta infatti il fare di lui, del suo vangelo e secondo il suo stile la ragione della propria esistenza. Un senso all’esserci donato da un altro e accolto come propria decisione. Sorge spontanea la domanda: ma costui chi è? Ascoltiamo.

2. Siamo alle pendici del monte Hermon, alle sorgenti del Giordano nella regione di Cesarea di Filippo, e Gesù domanda ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?», cioè lui stesso a cui è riconosciuta una peculiare relazione con Dio e una particolare missione da compiere da parte di Dio. Questo dice l’espressione «Figlio dell’uomo». E la gente dimostra di avere un’alta opinione di Gesù equiparandolo a un grande profeta in cui rivive lo spirito del Battista, di Elia, di Geremia e di altri ancora, a voler dire che egli va letto e compreso in chiave profetica. «Ma voi, ribatte Gesù, chi dite che io sia?». Evidentemente vi è un passo ulteriore da fare, una soglia da varcare che può essere concessa solo per purissima grazia, per via rivelativa. Dono del Padre è infatti la confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»;davvero Tu sei il Messia, il Tu da una relazione filiale con il Padre senza pari, unica, il Tu inviato a rivelare il Padre e la sua via in maniera perfetta, ultimativa e decisiva per la salvezza dell’uomo (Mt 1,21; 2,15; 3,17; 4,3; 11,25-27; 26,63). Dire sì a questo Tu è riconoscere in Gesù il Figlio colui nel quale è dato cogliere in termini definitivi il volto vero di Dio e la sua parola di verità, altresì e il volto vero dell’uomo a immagine di Dio. Un caso serio. E Pietro, a cui è stato concesso tanto, è per questo  definito «beato»  e per questo   costituito «pietra» su cui Gesù farà poggiare la sua Chiesa, sua e non di Pietro.

Chiesa uguale a comunità – assemblea dei discepoli del Messia da lui iniziati alla conoscenza del Padre, alla sua giustizia superiore (Mt 5,20.48) e alla vittoria sul  potere della morte, infrante le porte chiuse degli inferi (Gb 38, 17; Sap 16,13). Pietra a cui sono state date le «chiavi»della retta interpretazione di Gesù e del suo Vangelo, con la conseguente dichiarazione di legati o sciolti nei confronti della comunità – chiesa in base alla retta confessione messianica e a un esistere secondo l’evangelo.

Nella serie ininterrotta dei perdoni (Mt 18,21-22). Pietra infine definito «satana» e «scandalo» (Mt 16,23) quando la sua interpretazione del Messia non è secondo Dio ma secondo parametri mondani, quando non conforme alla via dell’amore mite e umile fino alla croce, ma conforme a criteri di prestigio, di potere e di potenza fino alla spada. La pietra di fondazione diventa pietra di inciampo e di disgregazione.

3. Pietro e ogni vescovo di Roma, ogni vescovo, ogni comunità e ogni singolo battezzato devono sapere che possono essere l’uno e l’altro pietra all’edificio Chiesa beatitudine edificandola nella fede, nella speranza e nella carità o pietra dell’edificio Chiesa di inciampo. Il Messia in cui abbiamo riposto fiducia introduce a un Dio crocifisso che non crocifigge, a un Dio che non rimpicciolisce ma che fa fiorire ad altezza di vangelo delle beatitudini, a un Dio che non allontana ma che accoglie gli ingiusti, a un Dio che non lega alla colpa ma che scioglie con il perdono. A un Dio che apre le porte degli inferi. Annunciarlo e testimoniarlo è una buona ragione di vita: «So in chi ho posto la mia fede» (2Tm 1,12).