Sforziamoci di entrare
Gesù sale verso Gerusalemme, dove compirà la volontà de Padre, con la sua passione, morte e resurrezione. In questa «salita» Luca raccoglie molti insegnamenti, che delineano il discepolo di Gesù, chiamato a condividere con Lui il suo stesso destino. In ben nove capitoli sono dettate le condizioni per seguire Gesù: il precetto dell’amore; le minacce contro l’ipocrisia dei farisei e dottori della Legge; il guardarsi dall’avidità di avere; la fiducia nella Provvidenza eccetera. Finché arriviamo alla pagina di questa domenica: Gesù sta parlando del regno di Dio; lo ha assimilato ad un granellino di senape, che presto cresce e diventa una pianta e ad un pugno di lievito, che la massaia nasconde in tre staia di farina, perché tutta sia fermentata. È a questo punto che un tale chiede a Gesù: Signore, sono pochi quelli che si salvano? Gesù non si perde in questioni, tutto sommato secondarie, ma coglie l’opportunità per dare un insegnamento molto serio. Dice: Sforzatevi di entrare per la porta stretta. E fate presto, perché il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta.
Fermiamoci su questo verbo: sforzatevi! Un vocabolo che indica lotta. Viene da ricordare san Paolo, che paragona la vita cristiana a una costa allo stadio: senza pesi, protesi alla meta, appena sfiorando la polvere, per conquistare il premio. O all’altra immagine, del pugilato: faccio il pugile ma non come uno che batte l’aria e viene battuto. O ancora l’altra immagine: nella lettera agli Efesini, che di giochi se ne intendevano, parla letteralmente di attingere forza dal Signore. Così facendo «rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo… rivestitevi con la corazza della giustizia… tenete in mano lo scudo della fede; prendete l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito», cioè la Parola. La vita cristiana, allora, è una vita di combattimento per estirpare ogni radice di male, perché crescano frutti di bene. Così è dopo la ferita del peccato originale. Diceva argutamente Chesterton: C’è chi non crede, perché non si è trovato il torsolo di mela o la foglia di fico leggermente appassita! Ma il dogma del peccato originale è quello che meno di tutti ha bisogno di fede; basta essere onesti con se stessi e subito ci accorgiamo che siamo un giocattolo rotto: tutto il bene ci costa e tutto il male ci tenta. San Paolo arriva a dire: il peccato abita in me. Vero, il bene lo approvo e poi non lo faccio; il male lo disapprovo e però lo faccio! Chi mi libererà da questa schiavitù? Il mio Signore e redentore!
Vita cristiana, dunque, lotta, che bisogna combattere in questa vita. Non ce n’è data un’altra. E non aspettare tempo, perché il tempo non aspetta te, scriveva santa Caterina da Siena. Qui c’è tutta la serietà del tempo presente. Non ci sono titoli di prelazione. I rimasti fuori sono irrevocabilmente condannati.
Piace concludere con questa piccola poesia del servo di Dio il vescovo Hèlder Camara: «Non fermarti! Fino in fondo, non fermarti! È una grazia divina bene incominciare. E’ una grazia più grande ancora continuare sulla buona via, tenere il ritmo…ma la grazia delle grazie è non perdersi e, resistendo ancora o non facendocela più, a brandelli, a pezzi, andare fino in fondo».
*Sacerdote cappuccino