Seguire Cristo con ardimento

Letture del 9 luglio, Domenica XIV del Tempo ordinario B : «Sono figli testardi e dal cuore indurito» (Ez 2 2-5); «I nostri occhi sono rivolti al Signore» (Salmo 122); «La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,7-10); «Si meravigliava della loro incredulità» (Mc 6, 1-6)DI BERNARDINO BORDO

Il termine di una settimana colma di eventi tristi e lieti, all’inizio di un’altra che non nasconde la tendenza ad accentuare le tinte della precedente, la liturgia della Chiesa ci aiuta a non sottovalutare le difficoltà della sequela, ma senza allarmarsene. Ezechiele viene avvertito da Dio di non illudersi: si troverà di fronte «ad un popolo di ribelli».

Ma la precisazione «io ti mando» deve rassicurarlo che la sua impresa non sarà del tutto inutile (prima lettura). Paolo, esperto, a proprie spese,di queste esperienze deludenti, ora, prova anche quelle interne della misteriosa spina nella carne (di cui gli esegeti devono ancora scoprire il vero significato). Ha pregato che gli fosse risparmiata. Ma si è inteso rispondere: «Ti basta la mia grazia» e la spiegazione significativa: «La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (seconda lettura). La pagina evangelica mostra che Gesù stesso ha voluto sperimentare sorprese, delusioni, sconfitte, fra la sua gente, nel suo paese, fra i suoi stessi parenti terreni (Vangelo ).

L’insuccesso del Salvatore a Nazareth viene collocato da Luca sugli inizi della sua missione, ma si tratta di una esigenza del suo progetto redazionale, più logico che cronologico. Però arricchisce il racconto marciano con un Gesù, in atteggiamento di rabbi all’interno di una sinagoga, con gesti che sanno di magistero, pieno di autorità. L’unica volta che ne abbiamo una descrizione così accurata. E, per la verità, non era un rabbi, perché non aveva percorso l’itinerario che da talmid lo avrebbe portato al grado di talmid hakan, sui quarant’anni, e, infine, tramite imposizioni delle mani,a quello di hakan, o rab, cioè rabbino, maestro . Marco mostra Gesù stupito dell’incredulità dei compaesani, perché ha incontrato consensi altrove; riporta le frasi dei nazaretani, che lo riconoscono come «carpentiere, figlio di Maria» fratello di alcuni personaggi ad essi ben noti. La conclusione, in Marco, parla di poche guarigioni prodigiose, a causa di tanta freddezza. In Luca la reazione dei presenti è dura, furibonda, fino a volerlo gettare da una rupe. Il che conferma la datazione posteriore dell’episodio, quando già i capi religiosi erano sulla pista di una condanna, possibilmente con pena capitale.

Testi così ricchi di accenni drammatici, si smorzano durante una liturgia eucaristica, per dare luogo al coinvolgimento dell’agape sacramentale. Ma non nascondono l’intenzione della Chiesa di ammonirci che la sequela del divino Maestro è risultata a poco prezzo solo in epoche di sonnolenza religiosa. Questo nostro orizzonte attuale minaccia da est ad ovest tempeste che fanno paura, nel momento in cui si materializzano in visioni apocalittiche di persecuzioni, quelle che creano i martiri; ma non preoccupa di meno, quando ci si rende conto di trovarci da tempo in epoca post cristiana, in un paganesimo battezzato solo a livello di innocua cerimonia. Ezechiele viene allertato, Paolo confermato; ma Gesù che si stupisce a Nazareth, prende nota con amarezza dell’insuccesso, e intanto opera ugualmente, delle guarigione anche nel suo paese malfidato e continua ad andare «attorno per i villaggi, insegnando», c’incoraggia a proseguire, nonostante tutto.

La nostra missione nel mondo più è contraddetta e più si consolida, più si accosta al fallimento del Golgotha e più partecipa della sua virtù salvatrice.