Seguiamo Gesù nel cammino verso la Croce e la Resurrezione
Letture del 1 aprile, Domenica delle Palme e della Passione del Signore: «Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi, sapendo di non restare deluso» (Is 50,4-7); «Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? (Salmo 21); «Cristo umiliò se stesso, per questo Dio l’ha esaltato» (Fil 2,6-11); «Passione del Signore» (Lc 22,14-23,56)
di Bruno Frediani
Il giorno delle palme Gesù entra in Gerusalemme da trionfatore. Quattro giorni dopo è arrestato, giudicato e condannato.
Gesù è re, come egli stesso afferma dinanzi a Pilato e come lo definisce la scritta che viene posta in cima alla croce, ma la sua autorità non sta nella forza e nella ricchezza, ma nella debolezza e nella povertà. Egli entra in Gerusalemme per dare compimento al mistero della sua morte e risurrezione. A noi, suoi discepoli, il compito di seguirlo fino alla croce per divenire partecipi della sua risurrezione. È il cammino che la liturgia della settimana santa ci invita a fare.
La croce è il centro della nostra fede. Su di essa si consuma il dolore, l’abbandono del Figlio di Dio e di tutti i crocifissi della storia. Di fronte alla croce viene spontanea la domanda: «Dov’è Dio, la sua onnipotenza, la sua perfezione, la sua giustizia?». Solo la fede ci fa capaci di leggere l’onnipotenza di Dio nell’impotenza di una croce. È l’impotenza dell’amore. Gesù ama il Padre fino a farsene «obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (seconda lettura) e ad accogliere il suo progetto «per noi uomini e per la nostra salvezza». Gesù non muore perché viene ucciso dai Giudei, ma perché si dona, si consegna, si annienta, insegnando così, con i fatti, che la vera grandezza non sta nel potere, nella ricchezza, nella considerazione sociale, ma nell’amore che condivide, che è solidale, che si fa vicino ai fratelli nel servizio. Gesù vince il dolore e la morte, non togliendoli dal cammino dell’uomo, ma assumendoli in sé. La giustizia di Dio non si manifesta nella pena inflitta ai colpevoli e agli accusatori dell’innocente, ma nel perdono. Gesù toglie all’omicida, caricandolo sopra di sé, il peso del proprio peccato. La vittima che perdona il carnefice lo libera dalla sua aggressività mortale, mostrandogli come l’amore vince l’odio.
Le prime comunità cristiane scorgevano nella croce il segno della regalità di Cristo. I credenti non hanno bisogno di attendere la risurrezione di Gesù per proclamare l’inizio di un mondo nuovo. Già la croce è una grande novità, è l’inizio di un nuovo ordine di cose. Anche se tutto è apparentemente finito e le forze del male sembrano prevalere su Gesù, i segni che ne accompagnano la morte lasciano filtrare la novità: il velo del tempio si squarcia indicando che l’antico tempio con i suoi ordinamenti e le sue attese è finito. Il tempio nuovo è il corpo di Cristo che Dio ricostruirà con la risurrezione.
Nell’annientamento del Figlio di Dio nasce una nuova umanità: il mistero della morte diventa mistero di vita e di vittoria. In questa domenica di passione la croce è al centro della contemplazione della comunità cristiana che in essa legge il progetto misterioso di Dio e adora la regalità di Cristo. Una regalità che rinuncia a schemi di potenza umana, che indica per quali strade, umanamente illogiche e incomprensibili, passa la «gloria» che diventa misura di confronto e di verifica nel servizio dei fratelli.
Con la domenica delle palme entriamo anche nella Settimana Santa, un tempo da vivere nel silenzio interiore e nella preghiera, in unione di amore con Gesù, con la sua madre Maria e con tutta la chiesa.