«Se il tuo occhio ti scandalizza»
Letture del 1° ottobre, domenica 26ª del Tempo ordinario B: «Sei tu geloso per me?» (Nm 25-29); «Le vostre vesti sono divorate dalle tarme» (Gc 5 1-6) «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si metta una macina girata da un asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9, 38-43.45.47-48).
Come sempre, il punto focale della liturgia delle letture si raggiunge nel brano evangelico, dove Marco, questa volta, ha cercato di accorpare diversi detti del Signore Gesù, pronunciati in occasioni e luoghi diversi, per darci un racconto che, partendo da un episodio enigmatico, raccolto fra la tradizione protocristiana, dell’esorcista giudeo che ebbe la strana idea (chissà per quali motivi) di provare a scacciare demoni nel nome di Yoshua bar Yosiph, cioè Gesù. Non doveva farlo assolutamente! aveva protestato con forza l’apostolo Giovanni: quello che la tradizione ha immaginato dolce, passivo, quasi femmineo (vedi Leonardo nel Cenacolo), ed invece era considerato dal Maestro «figlio del tuono», cioè uomo tuonante…
Gesù lo ammonisce a non identificare l’economia della Salvezza con un affare riservato, perché anche se lui si serviva di apostoli, discepoli e donne cooperatrici, non intendeva, con questo, circoscrivere ad una semplice cerchia di fedelissimi il progetto universale del Padre.
In ogni caso, chi lo stava seguendo e collaborava con lui doveva essere riguardato da tutti come persona da sostenere nell’impegno, anche attraverso sussidi di carità, simboleggiati dal bicchiere di acqua, cosa preziosa, nella Palestina del suo tempo, quanto l’oro. Inoltre ammoniva gli ascoltatori: A quei suoi cooperatori e cooperatrici del Regno, gente da poco, piccola, senza pretese di sorta, non si dovevano frapporre ostacoli da sbarrare la strada. Chiunque ci avesse provato sarebbe andato incontro alla sventura più atroce che, per i suoi contemporanei consisteva nel morire e non trovare una sepoltura, un affogare negli abissi del lago di Genezareth, o del mare occidentale, con una mola asinaria al collo, da restare per sempre in quei fondali melmosi (terza lettura).
Lungo i secoli, nel linguaggio cristiano, la parola scandalo si è andata restringendo all’area delle trasgressioni in fatto di buon costume e gesti contrari alla castità. Sia nella sua accezione terminologica, che anche nel pensiero del Salvatore, assume una dimensione assai più vasta e significativa. Ogni ostacolo al progresso spirituale dei fratelli, o alla loro attività di apostolato rappresenta uno scandalo, un diaframma dissuasivo, un invito insidioso a recedere, a tradire il mandato.
Pertanto, se è deplorevole la provocazione del nudismo, del turpiloquio, ormai pezzo forte dei mass media, lo sono molto più l’invidia che spinge a criticare colleghi più zelanti di noi nella vigna del Signore, i tentativi subdoli di scalzarne la credibilità, mettendo in dubbio la loro retta intenzione.
La liturgia odierna vuole essere un contributo alla magnanimità con gli altri, alla cura di evitare loro inciampi pericolosi, disposti a condividere l’amore a Cristo e l’interesse per l’avvento del suo regno.