Se Giobbe incontra Gesù

Letture del 9 febbraio, quinta domenica del tempo ordinario: «Notti di dolore mi sono state assegnate» (Gb 7,1-4.6-7); «Risanaci, Signore, Dio della vita» (Salmo 146); «Guai a me, se non predicassi il vangelo!» (1 Cor 9,16-19.22-23); «Guari molti che erano afflitti da varie malattie» (Mc 1,29-39)

DI ANGELO SILEIDopo aver ascoltato le letture di questa domenica dovremmo, semplicemente, portare Giobbe da Gesù. Giobbe porta un carico di sofferenza e di domande comune a tutti gli uomini segnati dalla prova. Le sue parole non sono affatto l’espressione della sua proverbiale pazienza; sono lo sfogo amaro di un uomo deluso e stanco che vede la vita come un insano e faticoso passaggio. Egli soffre del «male di vivere». C’è poca fede nelle sue parole. Ma c’è molta umanità. Ci rappresenta alla perfezione nei momenti della tristezza e dello sconforto. La sofferenza fa affiorare alla mente e sulle labbra di tutti i suoi pensieri: la vita è dura, ci paga con il dolore, ci copre di illusioni, la vita è breve come un soffio, la vita sembra non avere senso.Portare Giobbe da Gesù vuol dire portare noi stessi con le nostre domande più amare davanti a colui che ha iniziato il suo ministero con gesti di guarigione e di liberazione dal male. Non si è presentato per giudicare o giustificare il male del mondo (come fecero gli amici di Giobbe), ma si è attivato per alleggerire l’uomo, ogni uomo, dal suo male. Intorno a lui si è creato subito un alone di attesa e di fiducia tale che ha addirittura sommerso le sue parole: «tutta la città era riunita davanti alla porta», e certo per vedere guarigioni.

Quali risposte dà Gesù a chi è afflitto dal male? Cosa può dire a Giobbe disperato oppure a un uomo di oggi con le sue eterne domande?

La pagina del vangelo di Marco, e anche la lettera di Paolo, ci aprono verso una risposta. Non è – e forse ce ne dispiace – una risposta al perché del male, ma è una risposta al «come nel male». Essa ci racconta di come il vangelo è buona notizia per l’uomo afflitto dal male.Gesù compie alcuni gesti significativi. Prima di tutto Gesù «si accosta» a chi soffre. La strada di Dio non evita coloro che sono colpiti dal male, anzi passa per essa. Il male non è maledizione, ma è spazio di salvezza e di redenzione. Gesù comincia il suo ministero avvicinandosi a chi soffre e lasciandosi avvicinare da malati e indemoniati. Porterà a termine il suo compito e la sua vita vivendo ore di sofferenza indicibile. Proprio per questo nel tempo della sofferenza dobbiamo imparare tutti a sentire un Dio vicino e amico, non lontano e nemico. Una della novità del vangelo è proprio questa rispetto al continuo tentativo di cercare una colpa per ogni dolore. Al tempo di Giobbe come al tempo di Gesù, ma anche oggi, l’uomo religioso perde molte energie a cercare un nesso fra peccato e sofferenza. Ma perde anche tempo. Nella stagione della vita c’è il dolore e nel dolore Dio è vicino: questo è il vangelo del regno. Inoltre Gesù «prende per mano»: gesto semplice, ma carico di effetto e di significato. È un dono e un aiuto. Libera dalla solitudine e dallo sconforto. Fa ritrovare energie nascoste. Quella mano è la mano di Dio, che è tesa per rialzare, per riabilitare, per rendere di nuovo capaci di servire. Giobbe, più che di amici che sanno dare una spiegazione al suo dolore, ha bisogno di mani amiche, mani che si tendono per sostenere, per consolare e per manifestare amore. Questo ha fatto fin dall’inizio Gesù e questo deve fare ogni suo discepolo.

Infine Gesù guarisce. L’irruzione del regno di Dio nel mondo si manifesta nella liberazione dal potere del male: sia della malattia come del demonio. Dio non vuole che l’uomo sia schiacciato dal male, come uno schiavo dal suo duro lavoro. La buona notizia è che Dio libera dal male e che, nel suo regno in questo mondo, egli tende a guarire e a restituire integrità e dignità. Il vangelo si attua ancora attraverso coloro che si fanno vicini a chi soffre per curare e per guarire.

Il vangelo, che si muove in mezzo a malati e peccatori, non è una profezia minacciosa o critica verso gli uomini che sono nell’afflizione, ma è una parola di riscatto e di liberazione, un parola d’amore. Anche Paolo nella sua lettera ci dice che ha imparato dal vangelo a farsi debole con i deboli, a farsi tutto a tutti. Proprio come Gesù.