Se Cristo viene confuso con Satana

Nella liturgia della parola di questa domenica possiamo forse incontrare qualche difficoltà nel cogliere il collegamento, di solito abbastanza evidente, fra prima lettura (Gn 3,9-15) e brano evangelico (Mc 3,20-35). Quest’ultimo contiene già di per sé alcuni elementi che possono lasciarci perplessi e che testimoniano un momento assai delicato vissuto da Cristo: da una parte il fulmineo e crescente successo della sua predicazione con i segni da lui operati, dall’altra la preoccupazione dei familiari che lo reputano addirittura folle.

Perché un giudizio così estremo, solo perché non si riesce a comprendere questa improvvisa virata di Cristo che da una vita oscura e nascosta lo porta impetuosamente alla ribalta? Soprattutto perché, da parte degli scribi, questo giudizio così negativo, messo di Beelzebul, pur riconoscendo i prodigi da lui compiuti? Vi è la presenza misteriosa della madre che, almeno a prima vista, si pone con Cristo in una situazione abbastanza conflittuale (di solito nella predicazione ci si premura di rassicurare che non è così, che Maria è veramente madre proprio in quanto discepola e via dicendo, ma non si può negare che almeno all’inizio la situazione sia alquanto tesa).

Potremmo dire che si tratta di uno scontro ideologicamente determinato, ovvero che la realtà viene giudicata secondo categorie preconcette, chiudendosi anche solo all’ipotesi che essa invece apra a una vera novità: al fatto che il regno del maligno ha i giorni contati e non per implosione interna (da questo punto di vista Satana è tutt’altro che stupido) ma per una parola potente che ha preso dimora in mezzo a noi e si rivela in Cristo (cf. Gv 1,14).

Allora questo potrebbe essere il collegamento da ricercare con la prima lettura, che ci riporta al tempo degli inizi: il combattimento fra la stirpe della donna e quella del serpente, punto che accomuna questi due brani, combattimento da sempre visto come già determinato fin dall’inizio (nello scontro fra testa e calcagno non c’è storia, il serpente non ha alcuna possibilità), che però è un confronto subdolo, non una battaglia campale, su spazi aperti. E’ un sottile gioco di spie, con agenti coperti e infiltrati, con un sapiente utilizzo, diremmo oggi, di fake-news.

Cos’è l’insinuare degli scribi contro Cristo, dipinto come un agente di Satana sotto copertura, se non un tentativo di distogliere dal fatto che i custodi dell’ortodossia o supposta tale, sono proprio loro bestemmiatori imperdonabili, incapaci di accogliere l’operato dello Spirito che si manifesta nella sua evidenza nell’annunzio evangelico? In questo senso si trovano essi stessi di fatto collaboratori dell’avversario, rivestendo il ruolo di complici che volevano cucire addosso a Cristo. E’ il dramma di chi «confida in se stesso e si compiace delle sue parole» (cf. Sal 48,14) mentre l’apertura allo Spirito operante in Cristo porta il credente a guardare con veracità a ogni aspetto della propria vita, perfino al proprio logorio quotidiano, come al rinnovarsi dell’esistenza a un più profondo livello (cf. 2Cor 4,13-5,1; 2° lettura).

Mi immagino (ma questa è solo una mia fantasia che riporto per quel che può valere) Maria lì presente, forse tirata in ballo da qualche familiare, forse non troppo convinta, che comunque in quel momento ridice il suo sì al quel figlio strano, fuori delle regole, come fuor delle regole era stata la sua nascita e si decide nuovamente e definitivamente per lui.

*Cappellano del carcere di Prato