Scendere dalle nuvole per salire la montagna
Una nube luminosa copre i discepoli con la sua ombra (cfr. 17,5). Vi siete mai sentiti illuminati da un’ombra? È il paradosso del vangelo! Trovi la luce nell’apparente oscurità, conosci laddove ti sembra di non comprendere più niente ma riesci ad affidarti; trovi la vita nella morte, la gioia nel dolore, la speranza dove tutto sembra perduto. La nube è simbolo e riflesso della presenza di Dio. Pietro, Giacomo e Giovanni avvertono la voce del Padre che li invita a percorrere la strada del Figlio: è Gesù la via della vita, la via della conoscenza, la via dell’amore. La conoscenza di Dio è impossibile a uno sguardo privo della luce soprannaturale della grazia. E solo Cristo dona questa luce a chi vive nell’amore, perché lui è la luce che mostra il Padre.
La nube che li avvolge, perciò, non è niente di evanescente, niente di astratto o di campato in aria. Non li allontana dalla realtà! Li riporta, anzi, dentro le ferite, dentro le situazioni, dentro la concretezza di dubbi, paure e incertezze. E, infatti, cadono con la faccia a terra (cfr. 17,6). Ma Gesù li invita a rialzarsi e a camminare insieme a lui (cfr. 17,7).
I tre fanno esperienza di Dio attraverso gli occhi (cfr. 17,2-3), il tatto (cfr. 17,7) e l’udito (cfr. 17,6). Altrove, nella Scrittura, i sensi dell’uomo sono rappresentati come le porte dell’esperienza di Dio: «gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 33,9); «noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano e fra quelli che si perdono» (2 Cor 2,15); «mentre il re è nel suo convitto, il mio nardo spande il suo profumo» (Ct 1, 12). I sensi umani, purificati da ogni egoismo, diventano strumento della comunione con Dio e con gli altri.
In un testo di Federigo Tozzi, tratto dalla raccolta «Bestie», l’autore domanda: «Che punto sarebbe quello dove s’è fermato l’azzurro?». A volte cerchiamo Dio, nella nostra vita, ma ci sentiamo dentro oscurità, tentazioni, prove. Non troviamo più l’azzurro del cielo divino dentro la nostra anima. Oppure, assistiamo alla inspiegabile violenza dell’uomo sull’uomo: violenza quotidiana fatta di silenzi, parole amare, gesti di divisione ed egoismo, ripicche, gelosie, invidie. «Ma un’allodola è rimasta chiusa dentro l’anima, e la sento svolazzare per escire. E la sento cantare». Si può diventare capaci di cantare in ogni situazione della vita. Quando ami, sei libero e il male ti rimbalza addosso, trasformandosi in grazia e in bene per te e per gli altri. Quando ami, Dio si rende presente, e scopri l’azzurro in te e nell’altro: «Ora, se anche io t’amo così, o allodoluccia, vuol dire che tu puoi restare dentro la mia anima quanto tu voglia; e che vi troverai tanta libertà quanta non ne hai vista dentro l’azzurro. E tu, certo, non te ne andrai mai più. Non fai né meno ombra!».
Dopo la sua trasfigurazione, Gesù ammonisce: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (17,9). Solo allora, infatti, l’umanità avrebbe potuto comprendere che la via di un amore così sublime è contrassegnata dalla croce: amare, infatti, è rinunciare a se stessi e dare la vita per gli altri.
Il vangelo di oggi è un invito a scendere dalle nuvole dei nostri spiritualismi per salire la montagna dell’incontro con Dio, che è il fratello. Ma, attenzione: solo la preghiera ti dona l’amore di Gesù. E come prega Gesù? La preghiera di Gesù è trasformazione. È comunione profonda con il Padre e inabitazione reciproca: lui entra nel Padre e il Padre in lui. La vera preghiera è estasi: ti rende dono. La vera preghiera trasforma il cuore e il corpo. Allora, sarai come l’allodola e sperimenterai «tanta libertà quanta non ne hai vista dentro l’azzurro».
Suor Mirella Caterina Soro