Saliamo sul monte con Abramo e Gesù

Letture del 16 marzo, seconda domenica di Quaresima: «Il sacrificio del nostro padre Abramo» (Gn 22,1-2.9.10-13.15-18); «Camminerò davanti al Signore nella terra dei viventi» (Salmo 115); «Dio non ha risparmiato il proprio Figlio» (Rm 8,31-34); «Questi è il mio Figlio prediletto» (Mc 9,2-10)

La seconda domenica di Quaresima indica una terapia sempre fondamentale per la guarigione dello spirito: il monte. La montagna fa sempre bene: offre aria fine e pulita, impegna nella salita. Fa bene uscire dall’atmosfera spesso inquinata della pianura. Fa bene camminare un po’ verso l’alto. Ci ossigena. Ci irrobustisce. Così è per lo spirito. Il monte è il luogo dell’incontro con Dio. Ricordiamo Mosè e il suo incontro con Dio nel roveto ardente e nella rivelazione del patto sulla montagna del Sinai. Così è stato per Abramo e per Gesù. Il monte è una tappa inevitabile e decisiva del cammino della fede. E ogni credente la deve percorrere. L’incontro con Dio, l’incontro serio, personale, profondo, è medicina per lo spirito, risana l’uomo, lo rende più autentico e più capace di stare nel mondo. La strada del monte fu per Abramo luogo della prova, o meglio della fede più pura. Dio si era già rivelato ad Abramo. La fede in lui gli aveva aperto prospettive nuove, lontano dalla sua famiglia e dalla sua tribù. In una nuova terra aveva avuto il dono di un figlio da Sara, un figlio atteso e amato, fonte di gioia e di speranza. Ma Dio non è solo colui che dona. Egli è anche colui che chiede. E più è totale e gratuita la fede in lui, più essa è capace di dare nuova vitalità e di rigenerare.

Sul monte Abramo ha imparato ed espresso la fede assoluta, senza riserve, senza contrattazione. La fede è diventata dono. Abramo sul monte per amore di Dio si è spogliato di quanto aveva di più caro e ha offerto suo figlio Isacco. Abramo ci insegna che dobbiamo vivere il rapporto con Dio non per avere qualche vantaggio, ma per riconoscere che a lui dobbiamo tutto e che tutto ci viene da lui. C’è una religiosità che si presenta come uno scambio, e spesso finisce in un ricatto: io dono a Dio se egli dà qualcosa a me.

La Quaresima non è una novena per ottenere una grazia, ma un cammino verso Dio, alla ricerca di lui, per essere occupati da lui. Fu questo anche il risultato della fatica di Abramo, perché sul monte Dio lo benedisse con ogni benedizione. Anche Gesù prese la strada del monte e sul monte fu trasfigurato. Il candido splendore di Dio trasparì dalle sue vesti, che è come dire dalla sua persona. Egli divenne in modo visibile trasparenza di Dio. Non un Dio in forma umana, ma un uomo in forma di Dio. Tre uomini, Pietro, Giacomo e Giovanni, videro e restarono estasiati: sarebbero rimasti lì per sempre. Ricevettero anche un messaggio divino: «Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!».

Nella seconda tappa del cammino quaresimale la liturgia presenta sempre questa scena, quasi ad incoraggiare nell’impegno severo di questo tempo. Il messaggio è chiaro: il rapporto con Dio trasforma la vita rendendola luminosa. Quello che una fede autentica sa produrre nella nostra vita malata non è un ritocco secondario o un rimedio superficiale, ma è un intervento radicale e risanante. Se conosciamo tenebre o nebbia nel nostro cammino, camminare con Dio ci porta a camminare nella luce. Se la non conoscenza chiude i nostri passi nell’oscurità, il rapporto con Dio rischiara la vita. Non che riusciamo sempre a vedere chiaro, ma ci è chiaro con chi camminiamo. Uno sprazzo di luce entra nella nostra storia ogni volta che noi saliamo sul monte dell’incontro con Dio. E questo monte ha un nome: preghiera. Preghiera profonda, preghiera personale, ascolto del Figlio, intimità con Dio. Dobbiamo dichiararlo con convinzione per poter guarire: abbiamo bisogno di Dio, di stare con lui, di camminare davanti al Signore, cioè alla sua presenza. Stare lontani da lui o – tentativo sempre possibile – vivere di nascosto a lui non ci giova: aumenta solo il nostro male. È la seconda ricetta della Quaresima: il monte, luogo del nostro incontro con Dio.