Rileggere la Passione
17 aprile, Domenica delle Palme e della Passione. Letture: Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Mt 21,1-11; 26,14-l4-27,66
1. Il cammino quaresimale con Gesù si conclude con il suo ingresso in Gerusalemme a partire dal monte degli Ulivi, associato nella tradizione ebraica al manifestarsi del Messia (Zc 14,4). Un re che si presenta alla «figlia di Sion» «mite, seduto su un’asina e su un puledro» (Mt 21,5; cf Zc 9,9; Gen 49.11), animali indici di un re pacifico e disarmato in contrasto con il cavallo metafora di forza militare. Il fatto poi che Matteo, e lui solo tra gli evangelisti, parli di un’asina e di un puledro è a voler dire che la sua regalità-messianicità è tesa a rappacificare l’asina, cioè gli ebrei, con il puledro, cioè i greci (Is 57,19; Ef 2,14s).
Gesù è il Messia dei vicini e dei lontani, stà tra i due come ponte di riconciliazione. Collocazione che riscontriamo anche nel evangelico dell’ingresso nella città santa, posto tra coloro che lo seguivano da Gerico (Mt 20, 29-34), quelli dei mantelli, e quanti lo precedevano, quelli dei rami di palma e di ulivo venuti incontro da Gerusalemme, uniti al mondo angelico nell’acclamazione «Osanna al figlio di Davide» (Mt 21,9), che significa «Deh, salva, o Messia, o re. Folla che entrando in città deve costatarne l’agitazione-turbamento, quello già preannunciato al tempo della visita dei magi (Mt 2,3-4), e alta risuona la domanda: «Chi è costui?» Mt 21,10), e alta risuona la risposta della folla che stava con lui: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea» (Mt 21,11), sottinteso quello predetto da Mosè (Dt 18,15), in breve il Messia. L’introduzione alla Passione è posta, tutto ruota attorno al riconoscimento e alla interpretazione della messianicità-regalità di Gesù.
2. Dunque «Chi è costui?». Per Matteo è il Re-messia che in Gerusalemme compie gesti decisivi quali il cacciare i venditori da un Tempio ridotto da casa di preghiera a luogo di affari (Mt 21,12-14), e il seccare l’albero di fichi a denunciare l’assenza del frutto della fede dell’Israele ufficiale (Mt 21,18-22).E ancora è il Re-messia che pronuncia parole ultimative, ad esempio, sul rapporto Dio-Cesare (Mt 22,15-22) separando religione e politica, altare e trono, sul comandamento che orienta la vita (Mt 22,34-40), sull’ipocrisia religiosa (Mt 23,1-36) e su cosa verterà il giudizio (Mt 25,31-46).
Dunque un Messia che pone la scure alla radice delle grandi questioni umane con gesti e parole che ne decretano la fine. L’aristocrazia del Tempio e il potere politico rappresentato da Pilato non sopportano questa voce e decidono di spegnerla. Sono costoro ad aver decretato la morte di Gesù, non di certo «tutto il popolo» (Mt 27,25), espressione che rilegge quanto avvenuto realmente al tempo della Passione alla luce di un distacco sempre più marcato tra il giudaismo messianico, la Chiesa giudeo-cristiana, e il giudaismo rabbinico, l’Israele che non riconosce in Gesù il Messia. E questo a partire dalla distruzione del Tempio nel 70 d.C.
A questo punto si apre un nuovo capitolo, quello del come il «consegnato-condotto» (Mt 26,57; 27,2.26.31.58) vive la sua regalità-messianicità nella Passione: «Secondo le Scritture» (Mt26,54), cioè in consonanza libera e consapevole con la volontà del Padre. Il consegnato diventa colui che si consegna al fine di svelare senza equivoci la sua verità e quella del suo Dio. Alcuni esempi. A Giuda che lo tradisce con un bacio, «Gesù disse:Amico» (Mt 26,50). Al discepolo che colpisce di spada, «Gesù disse: Rimetti la tua spada al suo posto» (Mt 26,52), Dio, il suo Inviato e la verità non si difendono con il rumore delle armi ma con la forza taciturna e tenace di un amore mite e pacifico. E dinanzi alle false testimonianze, a Pilato e al rito della sua incoronazione regale, la corona di spine sul capo-la canna nella mano destra-l’intronizzazione sulla cattedra della croce-la passerella degli oltraggi al posto degli omaggi Gesù risponde con il silenzio (Mt 26,62-63; 27,14; 27,27-44). L’amore, la nonviolenza e il silenzio sono le grandi parole del Gesù della Passione, l’abbandonato dagli amici (Mt 26,56) e da Dio stesso (Mt 27,47), esperto in angoscia (Mt 26,39).
3. La rilettura credente della Passione porta a vedere in Gesù il Figlio lo stesso Padre che in e con lui condivide sino in fondo la condizione umana la più alienata, quella del sognatore di un mondo nuovo che si ritrova abbandonato,tradito, calunniato, deriso e ucciso. Perfettamente inutile nella sua non omogeneità a un certo mondo religioso, politico e sociale. Un Dio che proprio in quel fallito finisce per raccontarsi per quello che è: amicizia e dono della vita a chi lo ha fatto fallire e gli ha tolto la vita; un Dio che in quel Messia alla affermazione: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Mt 27,25) risponde: «Il mio sangue è versato per molti per il perdono dei peccati» (Mt 26,28). Il suo sangue non è contro chi lo ha versato ma ricade su di essi e su tutti come fonte di amore che perdona e guarisce. Follia e scandalo (1Cor 1,23), ma è la via davvero regale che apre il tempo della definitiva rivelazione del volto di Dio in quel «bestemmiatore-sobillatore» (Mt 26,61.65; 27,37) innocente di nome Gesù.