Quello che conta è il «dentro» dell’uomo
Dopo la lettura del capitolo sesto del Vangelo di Giovanni, che ha occupato cinque domeniche, si ritorna al Vangelo di Marco con un testo che riporta un duro scontro tra Gesù e i Farisei ed una condanna senza attenuazioni di ogni formalismo.
Chi non ha detto, almeno una volta, a un bambino: «Va’ a lavarti le mani prima di metterti a tavola»? Si tratta di una regola igienica universalmente accettata nella nostra civiltà, che però non ha mai avuto il carattere di un precetto religioso, come invece chiaramente appare nella tradizione giudaica.
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?». Con mani immonde, cioè non lavate (fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi). Tornando dal mercato, poi, erano prescritte le abluzioni rituali e molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame.
Gesù, dinanzi ai farisei che rimproverano i suoi discepoli, che non si comportano secondo la legge degli antichi, prende una posizione netta. I farisei pensavano e presentavano l’uomo religioso come un essere dalla vita ingombra di obblighi, di riti, di pratiche e di proibizioni esteriori. Gesù afferma che non sono cibi o elementi di natura, né qualche omissione rituale, a sporcare, contaminare e rendere impuro l’uomo. Quello che contamina l’uomo è il male che esce da lui, e non le cose esterne, e nemmeno qualche alimento o qualche animale.
Gesù si mette sulla linea dei profeti che non erano affatto teneri nei riguardi di una tale sclerosi della vita religiosa e cita il grande profeta Isaia (29,13), il quale anche all’inizio del suo libro ha su questo parole sferzanti (1,11-15): «Smettete di presentare offerte inutili; l’incenso per me è un abominio… non posso sopportare delitto e solennità. Io detesto i vostri noviluni e le vostre feste; per me sono un peso, sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi».
Un altro profeta, Amos (5,22-23), così si esprime: «Io non gradisco le vostre offerte, e le vittime grasse come pacificazione, io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei vostri canti: il suono delle vostre arpe non posso sentirlo!».
La vera religione non consiste nell’adempimento esteriore di prescrizioni rituali, ma nell’adesione profonda, sincera e gioiosa a Dio. Quello che conta è il «dentro» e «il profondo» dell’uomo, cioè la coscienza in cui è stata seminata la Parola. La norma della coscienza è carne viva: è la Parola seminata, la quale non sta come un cristallo in un organismo vivente, ma come un seme che si spacca e produce frutto e ci accompagna nelle peripezie storiche, non già mutando se stessa, ma mantenendosi fedele a se stessa col trasformarsi. Lo ha detto Gesù (Gv 16,13-14): «quando verrà lui, lo Spirito di verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annunzierà».
E vuoi che lo Spirito Santo non faccia palpitare dentro di te quella parola impegnativa che Gesù disse dopo l’ultima cena: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 12-13)?
* Cardinale