Quaresima, un tempo per la memoria
La prima domenica di Quaresima ci propone, come ogni anno, il tema della tentazione, tipico di questo tempo liturgico. Si tratta di una battaglia sempre aperta nella vita del credente, dalle molte implicazioni e sfaccettature. In particolare quest’anno potremmo partire dalla riflessione sulla prima lettura (Dt 26,4-10) che ci offre uno sguardo particolare sul questo tema anche se, in realtà, non si parla affatto di tentazione, bensì di fede, infatti il nucleo centrale del brano è una sorta di «credo» liturgico, una professione di fede che attesta il compimento delle promesse di Dio nei confronti del suo popolo e dei prodigi compiuti durante l’epopea dell’ Esodo. Possiamo, però, proprio per questo soffermarci su una specie di tentazione che può colpirci con una certa facilità.
Quando pensiamo alla tentazione, o anche alla fede, forse può venirci in mente l’immagine del bivio: quale strada prendere? Mi fido ad avventurarmi nella strada che Dio mi propone e che, all’inizio, mi sembra stretta o disagevole? Certo, questa è un’ipotesi che può verificarsi, ma nella Bibbia, spesso, la fede è anche retrospettiva: si tratta di accorgersi, di rendersi pienamente conto di quanto Dio ha fatto per noi, come è il caso, appunto, di questa lettura dove i frutti della terra sono visti come prova tangibile del fatto che Dio è stato fedele. E’ il movimento stesso dell’eucarestia, che è, come dice il termine, ringraziamento, lode a Dio per l’opera di salvezza compiuta in Cristo. Il problema è che non sempre questa coscienza emerge in modo limpido, intercorre l’abitudine, il risaputo, ogni regalo, anche quelli di Dio, passa velocemente di moda e tutto sembra dovuto. Forse non ci sono più motivi per rendere grazie, per passare dai doni di Dio al dono di Dio ed allora ecco che affidare la propria vita al pane, piuttosto che alla parola di Dio, diviene una tentazione ricorrente, come vediamo nel vangelo di oggi (Lc 4,1-13).
Anche la richiesta di conferme all’Altissimo, qui, subito, come il prodigio del volo senza conseguenze dal pinnacolo del tempio corrisponde a questo movimento, la dimenticanza della sua presenza nella propria vita e il bisogno di altre conferme, sempre nuove e galvanizzanti; oppure il buon vecchio denaro, le ricchezze, che sono sempre lì a disposizione, che è possibile lucidare, contare e accumulare… Una fede senza memoria, come una malattia degenerativa, semplicemente svuota se stessa, diviene evanescente, polverizzata in mille rivoli; Gesù rimprovererà i suoi discepoli per questa incapacità di lettura, di memoria, di fronte al segno dei pani (cf. Mc 8,17-21), come pure le folle (cf. Gv 6,26). Del resto il rischio di travisare totalmente anche le esperienze più fondamentali è ben presente nel cammino del popolo nel deserto che si troverà a rimpiangere l’Egitto come fosse un paese di delizie anziché luogo della più amara schiavitù (cf. Es 16,3).
La Quaresima, allora, può essere vista come un tempo per la memoria, non solo un tempo per penitenze o altri tipi di esercizi in vista di un cammino che ci sta davanti, ma innanzitutto un ritorno sui passi della propria vita per ricercare le orme di Dio, ciò che Egli ha già compiuto, perché, lungi dall’essere triste e un po’ lugubre, questo diventi innanzitutto tempo di ringraziamento, gioia e sollievo per l’opera di Dio in noi, tempo per riscoprire la vicinanza di quella parola che è sulla nostra bocca e il nostro cuore, e ci annuncia una salvezza che non delude (cf. Rm 10,8-13; 2a lettura).
*Cappellano del carcere di Prato