Quando mancano i pastori

Letture del 23 luglio, 16ª domenica del Tempo Ordinario B: «Radunerò io stesso le mie pecore» ( Ger 23, 1-6); «Su pascoli erbosi il Signore mi fa riposare» ( Salmo 22); «Possiamo presentarci, gli uni gli altri, al Padre in un solo Spirito» ( Ef 2, 13-18); «Si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore» ( Mc 6, 30-34).

DI BERNARDINO BORDOIl filo conduttore del progetto liturgico di questa domenica, attraversa l’area dell’impegno pastorale che, partendo da Cristo, unico supremo pastore, allunga a coloro che sono stati chiamati «a stare con lui», per essere inviati ufficialmente a questo ministero sublime e giunge fino a coinvolgere il laico impegnato che, dal Vaticano II ha preso coscienza di esservi invitato, a titolo battesimale, partecipe della sua dignità e missione regale, sacerdotale e profetica. Geremia resta ancora legato al concetto del re pastore, di stampo arameo, sollecito del benessere esistenziale del popolo: beni terreni, liberazione da incursioni straniere e simili (prima lettura). La Lettera agli Efesini spazia su orizzonti decisamente più ampi e accentua l’urgenza del gregge evangelico, appena nato, di superare steccati giudeo cristiani, con le distinzioni fastidiose di circoncisi, o derivati dal paganesimo. (seconda lettura).

Il testo di Marco concentra la nostra attenzione su una delle prime impressioni ricavate da Gesù, all’inizio della sua opera evangelizzatrice: Quella povera gente, con tutti gli scribi – rabbini che insegnavano nelle cento sinagoghe, al tempio, nelle «case di studio», con tutti i piccoli sinedri dei centri minori in Giudea e diaspora, e il gran Sanhedrin a Gerusalemme, onnipresente per garantirsi il controllo della vita religiosa del popolo, la vedeva priva di quei pascoli che provengono dal contatto diretto col Padre, tramite la sua mediazione. Quei rabbini parlavano più della Torah, o Legge, che di Dio. Presentavano la Torah, alterandola con una didattica che privilegiava la tradizione e l’insegnamento dei saggi d’Israele, più che la Parola di Dio. Per cui, formalismo ipocrita, ricerca di affermazione personale da parte dei pastori; fame e sbandamento, da parte del popolo.

Gesù «si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore». E ne avevano a centinaia, di quei pastori. Ma i rabbini pensavano a conservarsi l’esclusiva di questo insegnamento deviante, i signori del sinedrio ai pingui proventi dei servizi del culto, al tempio, visto come un ottimo investimento.

Noi ci preoccupiamo del calo numerico dei pastori; assai meno di approfittare di quelli a nostra disposizione. Osserviamo allarmati la media assai elevata dell’età della stragrande maggioranza del nostro clero; ma continuiamo a scoraggiare con critiche ingenerose, chi cerca di supplire con la densità dei contenuti la riduzione degli operai della messe, e delle possibilità di giungere a tutti. Eppure non mancano, neppure oggi, comunità, gruppi, individui che sanno cogliere ogni opportunità per approfondire il messaggio di Cristo e riviverlo intensamente a livello personale e familiare, per poi comunicarlo attorno a sé.

La liturgia di questa domenica offre sussidi validi, per maturare la nostra esperienza personale del mistero di Cristo e, così, metterci in grado di parteciparla a tanti che, anche in questa nostra situazione di saturazione del superfluo, dell’ingombrante, chiedono di essere ammessi ad un nuovo rapporto con Lui, che offra motivazioni sempre valide alla nostra speranza cristiana.