Quando il no diventa sì e il sì no
1. Gesù è in Gerusalemme, momento culminante del suo itinerario storico e tempo di decisioni estreme dinanzi a gesti e parole decisivi che riguardano il Tempio, le autorità religiosa e politica, la resurrezione dei morti, il comandamento più importante che orienta la vita e la fine del tempo. Gesti e parole che fanno di Gesù un interrogativo: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23). Un interrogativo innanzitutto per «i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo» (Mt 21,23) che sono gli interlocutori primi e immediati della parabola dei due figli, presi a modello di come dinanzi all’operare di Gesù oltre alla risposta del sì-sì no-no vi sia anche quella del no-sì sì-no. Parabola che ricorre a una immagine cara a Gesù in sintonia con la grande tradizione biblica, quella della vigna, a voler dire Israele ma anche la Chiesa, le comunità ecclesiali, ciascuno di noi e in definitiva l’umanità. Immagine che rimanda a un proprietario, il padrone della vigna o il re della vigna, e ai chiamati da lui in essa con il compito di prendersene cura, chiamata che provoca risposta. Viene così dichiarato aperto il capitolo della tipologia delle risposte.
2. Il figlio che dice «no» al comando di andare a lavorare nella vigna del padre e che alla fine, pentitosi, vi andò (Mt 21,28-30) compiendo il «sì», corrisponde nel brano evangelico alla classe sociale dei pubblicani e delle prostitute (Mt 21,31), simbolo della trasgressione pubblica e formale della volontà di Dio. Classe da non assumersi come prototipo dell’obbedienza perfetta, non si dà infatti piena corrispondenza tra il dire e il fare, ma come prototipo della «capacità-coraggio di ricredersi» (A.Mello), di rileggersi alla luce di un annuncio a cui in ultima istanza hanno finito per aderire dandogli fiducia. È quanto, dice Gesù, è accaduto dapprima nei confronti della «via della giustizia» proclamata dal Battista (Mt 3,1-12), quindi nei confronti della «giustizia superiore» da lui annunciata (Mt 5,20). Gesù rivede il suo cammino inscindibile da quello del Battista, con il quale inizia il tempo ultimo del pieno manifestarsi del Regno di Dio (Mt 3,2; 11,13), e costata che il sì alla volontà del Padre alla fine ha trovato accoglienza e riconoscimento in ambienti socialmente e moralmente discutibili, al di là dell’ambito della religiosità ufficiale (Mt 21,31-32). Terreno fertile alla parola creatrice novità è, dentro il proprio disordine, il desiderio di novità. Desiderio che Gesù non ha riscontrato nel fronte del sì verbale smentito dal no fattuale, il fronte di una religiosità precisa nelle professioni di fede, ligia ai precetti e puntuale nella formalità rituale ma nel cuore lontana dalla conoscenza e dal compimento della volontà del Padre. Religiosità esemplificata nel brano evangelico dai capi dei sacerdoti, dagli anziani del popolo (Mt 21,32) e altresì dalla stessa comunità giudeo-cristiana di Matteo (Mt 7,21-23). Gesù prende atto del fatto che dinanzi alla chiamata a far parte della vigna degli amici di Dio a compiervi il lavoro del «misericordia voglio e non sacrificio», i meno esposti al rischio delle autogiustificazioni religiose e dei perbenismi sociali sono alla fine i più solleciti.
I disgraziati frantumati in sé e marginali al mondo che conta hanno antenne più ricettive e menti più disponibili a imprevisti messaggi di grazia, a annunzi di buone notizie. Il mondo di Dio, il futuro di Dio è innanzitutto per loro: «In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt 21,31). Ai sacerdoti e ai notabili di ogni religione e di ogni società non resta che il risveglio della coscienza alla propria verità di prostituzione, visibile nella svendita del volto di Dio e del volto dell’uomo là ove prevalga una legge superiore alla giustizia di Dio il cui nome è «cuore verso il misero». Questa la sua volontà.
3. A noi infine è rivolta la domanda: «Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?» (Mt 21,31), e voi in chi vi riconoscete? In creature consapevoli della distanza che intercorre tra il dire «Vangelo-Vangelo» e il praticarlo. Una distanza offerta come dono alla catena mai esaurita dei perdoni del Padre, origine di possibili ricominciamenti giorno dopo giorno non privando la terra della ragione che sola può renderla vivibile: il prendersi cura con passione a volte tenera a volte rude della vigna di Dio che è la Chiesa, che è Israele, che è l’umanità, che è la creazione, che è ogni uomo. Un lavoro a cui tutti sono chiamati, ciascuno a suo modo.