Quando Gesù chiama il resto perde importanza

Celebrate le solennità dell’Ascensione, della Pentecoste, della Santissima Trinità e del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, riprendono le domeniche del tempo ordinario. L’anno liturgico quest’anno ci fa ascoltare il vangelo secondo Luca, il pittore della mansuetudine di Cristo.

Il tema della pagina di questa domenica è la sequela del Signore Gesù. Ci sono tre chiamate, con tre messaggi.

Primo: mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». Gesù sembra quasi scoraggiare l’entusiasmo dell’uomo. Gli dice praticamente: attento, perché perfino le volpi e gli uccelli hanno dove abitare, io sono senza fissa dimora; randigio, pellegrinante. Sradicato. In effetti, Gesù, durante la vita pubblica, passa da una casa all’altra; più volte si ferma in casa di Pietro e anche di Marta e Maria (specie negli ultimi giorni), ma è alla mercé della Provvidenza; non rifiuta mai un pasto o una cena. Avverte, dunque, l’uomo che vuole diventare suo seguace, di ciò che lo aspetta; non si deve illudere. Deve strapparsi da ogni sicurezza economica; deve accettare rinunce e sacrifici; essere pronto a tutto. Vivere in povertà. Contentarsi dell’essenziale.

Ad un altro Gesù dice: «Seguimi!» E costui risponde: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». Ma Gesù gli replica: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annuncia il regno di Dio». Qui è Gesù che chiama, con una sola parola, un comando, che esige pronta e definitiva risposta. Il chiamato chiede di compiere prima un dovere sacrosanto, quale, appunto, la sepoltura del padre. Opera benedetta da Dio. Ricordiamo il libro di Tobi, lodato da Dio per queste sue opere di misericordia. Ebbene, Gesù attende e pretende una priorità assoluta, che passa avanti anche agli affetti più cari e ai legami più stretti. Non accetta di essere anteposto a niente e nessuno. Lui è il Signore e vuole il primo posto. Tutto diventa relativo, secondario rispetto a lui; passa in second’ordine; sfoca; sbiadisce; si sfuma. Perde importanza e valore. Il Signore prima di tutto e di tutti, sopra tutto e sopra tutti.

Spesse volte ho sentito dire: la mia vita è la famiglia; la mia vita è lo sport; la mia vita è l’arte; la mia vita è la carriera; la mia vita sono i soldi; io vivo per questo. San Paolo dice: La mia vita è Cristo! Questa vita che vivo nella carne io la vivo per colui che mi ha amato e si è sacrificato per me. Per me vivere è Cristo e morire un guadagno.

Così dovrebbe poter dire un discepolo seguace di Cristo.

Terza chiamata: «Un altro disse: “Ti seguirò Signore, ma prima lascia che io mi congeda da quelli di casa”». Ma Gesù risponde: «Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio». Gesù non contesta il salutare i familiari, ma avvisa di non voltarsi più indietro; di non avere ripensamenti né rimpianti. Chiede perseveranza e tenacia. Affondare l’aratro richiede sforzo e sudore; stare al solco e guardare avanti; continuare, al di là della fatica e della stanchezza. Perseverare. Il discepolo, che si mette alla sequela di Gesù deve dimenticare il passato e proiettarsi risolutamente verso l’avvenire.

Viene da pensare a san Paolo: afferrato da Cristo, vive totalmente per lui. Al termine della sua vita, può scrivere al suo figlio nella fede, Timoteo: «Il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione». Se con Cristo persevereremo, con Cristo regneremo.

*Sacerdote cappuccino