Pensare ai morti con l’eterno nel cuore

Letture di domenica 2 novembre, commemorazione dei fedeli defunti: «Io lo so che il mio Redentore è vivo» (Gb 19,1.23-27); «Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi» (Salmo 26); «Giustificati per il suo sangue saremo salvati dall’ira per mezzo di lui» (Rm 5,5-11); «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,37-40)

DI ICILIO ROSSISecondo quanto ci suggerisce non solo la riforma liturgica, il carattere pasquale domina nella celebrazione di questa domenica, per cui, sia pure rifacendosi al pianto di Gesù sulla morte dell’amico Lazzaro, tenerezza di affetto e mai pensiero disperato, il cristiano trasforma la tristezza della partenza dei suoi cari di questo mondo, in questo ritrovato carattere pasquale della morte. Il cammino di riflessione che ci viene proposto, è comune nella sostanza alle tre Messe proposte, sia pure con figure diverse. Pena o premio?Ci affacciamo comprensibilmente, al di là della vita, sul versante della morte, non sempre con i parametri giusti. Giobbe al quale fa eco il salmo 26, ci ammonisce che il nostro rapporto con Dio, piuttosto che basato su questi elementi «premio o pena», dovrà essere fondato sulla pietà, porta sicura che si apre alla nostra speranza futura. Per questo l’uomo non può lanciare un ponte verso Dio partendo da sé stesso; sarà Dio a gettare questo ponte nell’abisso che lo divide dall’uomo. Purtroppo la speranza in questo Dio non costituisce la costante di Giobbe e lo vediamo consumarsi nel contrasto fra il desiderio di Dio e la paura di Lui. Poi: «Io so che il mio redentore è vivo e che ultimo si ergerà sulla polvere». C’è una fede quieta e soddisfatta che trova tutto pacificamente chiaro ed è pronta a credere anche là dove questa si fa ardua e tesa: Ma Giobbe vuole un’immagine di Dio autentica e non convenzionale e la sua tematica non è solo sul dolore e sulla morte, ma piuttosto su Dio di cui è messa in discussione la credibilità: non «il male di vivere o morire», ma come poter credere e in quale Dio credere nonostante l’assurdo della vita, nati per vivere e destinati a morire ogni giorno. E il Dio di Giobbe risulterà certamente come Uno che scommette sull’uomo, convinto di trovare amore piuttosto che una religiosità di interesse, con una Trascendenza carica di simpatia nei confronti della creatura». Io ti conoscevo per sentito dire: ora i miei occhi ti vedono» (42). Ricerca e incontro con DioIn questa giornata, sacra al ricordo ed alla preghiera per i nostri defunti, il Salmo 26 ci aiuta a comprendere, in sintonia con la figura di Giobbe, che dunque la vita presente, nella fede e per la fede, va vista come «ricerca» di Dio e la morte come «incontro» con lui. Completerò la bontà del Signore, nella terra dei viventi»! La forza di questa affermazione è convalidata con l’altra: «sono certo» (v.14). Le sollecitazioni si infittiscono e sono tutte contenute nei termini «contemplare …. bontà del Signore… e terra dei viventi». Sono espressioni che, poste di fronte al dolore ed alla morte, risultano quanto meno paradossali. Solo che agli interrogativi della creatura, Dio risponde sempre con i diritti inalienabili della sua natura e della sua potenza e quindi con quella sovrana libertà con la quale crea ed è capace di sconvolgere il mondo. Certamente lo sforzo di ricerca di Dio, frutto di preghiera e di contemplazione, da parte dell’uomo dovrà dirigersi verso il comprendere che il Dio «contro di lui» nel dolore e nella morte, è ancora con lui e per lui il Dio della vita: Dio non si conosce attraverso l’idolatria ma attraverso la Sua Parola e la Sua Ora di Passione e di morte. Un futuro che già esisteIl Padre ha un progetto, una volontà precisa nei confronti degli uomini: «la vita eterna». L’affida a Gesù e Gesù l’affida alla Chiesa. Bisogna renderci conto che questo «salvare» di Gesù attraverso alla Chiesa, opera con l’efficacia sacramentale e non a giustificazione convenzionale ma nella sua misericordia, potenza purificatrice e trasformatrice della sua vita eterna: Strade, queste, impervie ma aperte all’uomo dalla misericordia di Dio perché gli sia più vicino, perché ritorni al Padre, perché ritrovi l’intimità della famiglia divina, perché ritrovi tutte le certezze espresse, promesse e realizzate nella Parola. Ci avviciniamo così al mistero della morte, al mistero della morte dei nostri cari defunti: essere certi di questa verità, oltre essere motivo di speranza per loro, significherà per noi, maturazione oltre il tempo per la vita eterna, trasferendo la nostra esperienza dalle condizioni dell’effimero e del caduco, a quelle del definitivo e dell’eterno. «Nella tua casa, Signore, avrò la pace»!