Pasqua, Ascensione, Pentecoste: un unico grande mistero
La trappola ci è tesa dal testo degli «Atti» (il cap.2 che «descrive» l’evento) che introduce: «Quando venne il giorno della Pentecoste…». L’evangelista Giovanni, invece, (Gv 20,19-23), pur citando la «data» («la sera di quello stesso giorno »), è molto più preoccupato di farci capire il contenuto dell’evento. C’è forse contraddizione tra i due documenti? Il contrasto è solo apparente. Il messaggio, nella sua sostanza, è il medesimo.
Luca, in «Atti», documenta la comunicazione dello «Spirito Santo» ricorrendo a un contesto narrativo che era familiare e diffuso nel mondo ebraico (con il quale Luca ancora interagisce). Giovanni, invece, parla in un modo più diretto a comunità già maturate nell’esperienza cristiana. L’autore di «Atti» narra l’evento con un racconto preso dalla catechesi dei rabbini ebrei che commentavano il patto tra Dio e Mosè al monte Sinai con una immagine per loro molto significativa. Dicevano: durante la consegna della Legge da parte di Dio a Mosè, il fuoco che avvolgeva Mosè (simbolo della comunione profonda tra Dio e Mosè) si è staccato da lui, si è suddiviso in tante lingue di fuoco che sono scese dal monte per raggiungere il popolo ebraico e i popoli della Terra e posarsi su di loro. Il commento dei Rabbini: al Sinai è nato un mondo trasformato, liberato, dove Dio è di casa, dove Dio e l’uomo si possono nuovamente incontrare «alla pari». Quando Luca narra nel modo che conosciamo, intende comunicare queste stesse idee. Con una novità: gli effetti dell’alleanza vengono attribuiti a Gesù come esito della Resurrezione-Ascensione. Il riferimento che Luca fa alla Pentecoste è anch’esso legato alla cultura ebraica: era diventata una data (si festeggiava la raccolta del grano, 50 giorni dopo la festa per la raccolta dell’orzo) nella quale si era cominciato ad aggiungere un significato religioso: la memoria, appunto, dell’evento dei Sinai (mentre durante la festa dell’orzo si ricordava l’uscita dall’Egitto: la pasqua).
Giovanni è molto più diretto e va al cuore del mistero: nel momento della sua risurrezione, Gesù comunica lo Spirito Santo. Anche se, pure lui, ricorre a due «immagini» per aiutarci a capire la grandezza del mistero che sta accadendo. Dice: «alitò su di loro» e poi usa l’espressione ebraica «perdonate i peccati». L’alito, il respiro (ruah) non era solo il segno della vita, ma indicava l’identità profonda e unica dell’essere vivente e la sua stretta appartenenza a Dio (per questo era vietato mangiare animali «soffocati», nei quali, cioè, la forza vitale individuale non fosse «restituita» al suo Signore, a Dio). Gesù che «alita» indica che Gesù trasmette «se stesso» ai discepoli, comunica «se stesso» (la sua più profonda identità), si partecipa a loro. Quella comunità («chiesa») diventa la visibilità del Cristo e ne esprime i «poteri» (in linguaggio teologico diciamo: la Chiesa è «sacramento» della salvezza di Dio per l’uomo). Concetto confermato da Giovanni nell’espressione-ordine di Gesù: «perdonate i peccati». È noto che questa espressione nell’ebraismo indica un potere esclusivo di Dio: Dio solo perdona i peccati. Gesù che dice: «perdonate i peccati» è come se dicesse: voi siete «Dio». Grazie alla comunicazione dello Spirito Santo che Gesù, proprio perché «risorto», fa alla comunità dei discepoli (e attraverso loro al resto del mondo), l’umanità viene «deificata»: è imparentata con Dio, lo può chiamare «Papà». Questo è in modo assoluto e definitivo. Non si può più tornare indietro. Questa è la direzione che, dalla risurrezione di Gesù, la storia dell’umanità ha assunto. La Pentecoste, quindi, è la certezza della perennità della Pasqua.
In parole meno legate alle «date» del calendario e alle «ricorrenze» celebrative: con Gesù risorto, che ci comunica lo Spirito di Dio, l’umanità ha recuperato la comunione vitale con il proprio Dio; l’umanità (ovviamente «credente»: che sa accettare questo dono del suo Dio) sperimenta una trasformazione così profonda e radicale da poter agire con la stessa forza di Cristo Gesù e compiere le sue stesse opere (Gv. 14,12: «Chi crede in me farà anche lui le opere che faccio io, anzi ne farà di più grandi»). Lo Spirito della «santità» di Dio, dato a noi dal Risorto, sta animando l’umanità e la sua storia.