Nutrirsi del Corpo del Signore
1. L’uomo è un corpo che pensa, che sente e che vuole. In particolare il corpo è il luogo della registrazione e della traduzione all’esterno dei pensieri, dei sentimenti e dei voleri che costituiscono la sfera o dimensione interiore dell’uomo detta o anima o psiche o spirito, biblicamente cuore. Il tu umano è questa unità distinta a cui oggi pongono particolare attenzione le neuroscienze, e ciascuno con una propria inconfondibile singolarità da essere costituito persona unica e irripetibile. Persona il cui stile reso pubblicamente visibile e leggibile dall’insieme della corporeità narra la verità del cuore, cioè di che cosa realmente pensiamo, sentiamo e vogliamo. Il corpo dice il cuore, il cuore si racconta nel corpo. Premessa indispensabile per una chiara intelligenza del Corpo di Gesù e nel suo del nostro.
2. Punto di partenza di questa nostra riflessione è un passaggio della Lettera agli Ebrei: « Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato Allora ho detto: Ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Eb 10,5.7=Is 40,7-9). Testo basilare nell’introdurre al come Gesù legge il proprio corpo: come «dono», gli è stato preparato da un Altro, e come «compito», il fare la volontà di un Altro. Volontà il cui contenuto in termini positivi consiste nel rendere evidente e inequivocabile il volere di Dio in-scrivendolo in un preciso corpo. Il senso dell’ingresso del Cristo nel mondo, il perché dell’Incarnazione ha dunque una sua puntuale ragione: rendere visibili, leggibili e toccabili nel suo corpo il pensiero, il sentire e il volere di Dio il Padre. Volontà finalmente liberata dagli equivoci interpretativi e dai conseguenti comportamenti da parte dell’uomo. Aspetto da sottolineare.
L’esperienza cristiana più genuina alla domanda: «Dov’è e qual è la volontà di Dio», non può che rispondere: nel «corpo di Cristo». Lì è il suo luogo, lì la sua declinazione, lì Dio racconta come egli si vuole nei confronti dell’uomo. Si vuole come «compassione» (Mt 9,36; Mc 1,41; Lc 7,13; 10,33; 15,20), come «immedesimazione»: «è diventato simile agli uomini» (Fil 2,7) e come « condivisione» della forma alienata dell’uomo: «non ha ritenuto un privilegio l’essere come Dio, ma svuotando sé stesso ha assunto la condizione di servo» (Fil 2,6-7), lo statuto dello schiavo destinato a lavare i piedi (Gv 13). E ancora si vuole come «cura»: l’occhio, l’udito, la bocca, la mano, il fiuto e i piedi di Gesù, ricolmi di incontenibile amore, sono le note musicali di una sinfonia chiamata guarigione al malato fisico, mentale, morale e religioso. E infine si vuole come «dono incondizionato di sé» «venuto a dare la vita in riscatto per molti» (Mc 10,45): «Questo è il mio corpo che è dato per voi» (Lc 22,19).
Una prima conclusione si impone: perché celebrare il «Corpus Domini?». Perché è in quel corpo che Dio ha deciso di manifestare sé stesso (Col 2,9) e la sua volontà come libera decisione di amore i cui capitoli, ripetiamo, sono la compassione, l’immedesimazione, la condivisione, la cura e il dono di sé. Capitoli leggibili in quel libro che è il corpo di Cristo; un corpo con gli altri, ai piedi degli altri, per gli altri; un corpo che svela l’apice della benevolenza di Dio quando dalla sua ferita indotta sprigiona un amore che sana quanti lo hanno colpito: «Dalle sue piaghe siete stati guariti» (1Pt 2,24=Is 53,5-6). Un corpo simile, che le donne hanno vestito di una tunica tutta d’un pezzo e baciato e profumato, non poteva non essere che un corpo risorto-trasfigurato. Il Dio che gli aveva preparato un corpo fragile e mortale, epifania in forma povera della sua verità di «onniamante» (P.Ricoeur), è il medesimo che gli ha preparato un corpo forte, spirituale e immortale (1 Cor 15,35-53), segno di un amore incondizionato verso quel corpo che lo ha meravigliosamente raccontato.
3. E una seconda conclusione si impone e riguarda noi. Il corpo di Gesù non solo è il luogo della rivelazione di Dio ma altresì dell’uomo. Vero è quell’uomo che legge il proprio corpo come dono per un compito, luogo attraverso cui il Padre per il Figlio nello Spirito continua, alla maniera di Cristo, a raccontarsi come passione d’amore per quanto si muove sotto il sole: «Vi esorto dunque, fratelli e sorelle a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Culto gradito è pertanto dire con tutti i sensi quanto Dio in Cristo si sia coinvolto e si coinvolga con forte tenerezza nella vicenda umana, fino a farsi mangiare come sottolinea il brano evangelico.
Un invito a nutrirci del suo corpo risorto-trasfigurato per divenire simili a Colui che mangiamo, pane e vino per mani nel bisogno e cuori nella tristezza. Questa è la volontà di Dio, questo è il perché ci ha preparato un corpo, questa è la cornice alla cui luce leggere il «corpo eucaristico» di Cristo: dono dato in pasto per divenire sua «reale dimora terrestre», luogo del suo farsi presente nel villaggio umano come, ripetiamo ancora, compassione, immedesimazione, condivisione, cura e dono di sé. Un esserci già da risorti in attesa della piena trasfigurazione.