Novità seminata e attesa
Domenica 17 giugno, 11ª domenica del Tempo ordinario. Letture: Ez 17,22-24; 2Cor 5,6-10; Mc 4,26-34. «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme sul terreno»
di GIANCARLO BRUNI
Eremo delle Stinche – Panzano in Chianti
1. Gesù l’annunciatore del regno di Dio (Mc 1,14) diventa il maestro che spiega il «mistero del regno di Dio» (Mc 4,11) in parabole, attraverso cioè paragoni, confronti e similitudini alla cui intelligenza profonda si perviene solo mediante la disponibilità alla accoglienza di lui lasciandosi coinvolgere dalla sua parola. Diversamente si rimane al di fuori di un messaggio anche se apparentemente semplice. Parabole provocate da un disagio, l’opposizione nei confronti di Gesù (Mc 2,7; 3,6; 6,5-6), lo scarso numero dei seguaci di Gesù (Lc 12,32) e la fatica della novità introdotta da Gesù ad imporsi, il regno non attira l’attenzione (Lc 17,21). L’annuncio di un mondo finalmente nel diritto, nella giustizia, nella pace, nella gioia e nella vita, l’attesa dei poveri della terra, la fretta dei poveri della terra, tarda a venire e i suoi segni sono poca cosa, nascosta e non appariscente. Ed è proprio quest’ultimo aspetto a provocare l’intervento di Gesù affidato a due parabole.
2. Nella parabola del seme che spunta da solo (Mc 4,26-29) il seguito di Gesù, folle e discepoli, è invitato a osservare il lavoro del contadino perché la stessa cosa succede al regno di Dio. Gesù è il contadino che sa di essere stato inviato a gettare nel solco della storia il seme del regno, il seme cioè da cui deve nascere un mondo nuovo nell’armonia Dio-uomo-cosmo vinti male e morte.
Gesù è il contadino che sa che tra la seminagione e il raccolto vi è il tempo della attesa paziente e tranquilla nella speranza; la buona notizia dei nuovi cieli e di una terra nuova (2 Pt 3,13) ha le sue stagioni di maturazione, lo stelo-la spiga-il frutto maturo, e la forza di divenire autonomamente ciò che deve. Gesù infine è il contadino che sa che ciò che tarda avverrà a suo tempo, il tempo del raccolto nel giorno noto a Dio. La parabola del granello di senape (Mc 4,30-32) da parte sua pone in luce il contrasto tra un inizio piccolissimo, nascosto, insignificante e un termine in cui il regno o mondo secondo Dio lo sarà per tutti i popoli, tutti abbracciando (Dn 4,17-19; Ez 31,3-). Se la prima parabola pone in risalto la crescita spontanea del regno in ragione della forza insita in esso, la seconda sottolinea la sua grandezza finale nonostante ogni possibile difficoltà e ogni non notorietà storica.
Un lievito, dirà Matteo (Mt 13,33), nascosto sì ma in grado di lievitare tutta la storia portandola a maturazione. Gesù con queste similitudini entra nello scoramento dei suoi di ieri, di oggi e di sempre, siamo una minoranza esigua; entra nella loro cecità, dov’è il nuovo; entra nella loro fretta apocalittica ansiosa di calcolare i tempi e di leggere segni, a quando il nuovo; entra nella loro esasperazione, affrettare il nuovo con la violenza della spada, nel loro lungo compromesso, imporre il nuovo con l’appoggio del braccio politico, e nella loro paura, siamo accerchiati. Un entrare che dichiara vani ogni agitazione e affanno, un entrare che equivale a ingresso nel suo orizzonte di lettura che dischiude alla serenità dell’agire e della paziente attesa.
3. Orizzonte spiegato ai suoi in segreto (Mc 4,33-34), in disparte, da soli (Mc 6,31s; 9,2.28; 13,3), uno spiegare in cui Gesù insegna a fare ciò che egli fa: come me-così voi. Come io semino così voi in nome mio seminerete la buona notizia del regno di generazione in generazione.
Attendere nella pazienza e nella preghiera, «Venga il tuo regno», è l’atteggiamento del discepolo, sentinella del futuro. Una parola detta a ciascuno e a ogni comunità in forma di parabola (Mc 4,33) che ove accolta converte il nostro enigma in mistero, in lettura di sé secondo Cristo: mano che lo semina nella storia, mente che lo contempla operante nella storia, fronte protesa in avanti che lo attende, «Vieni, Signore Gesù», a portare a compimento l’opera iniziata. Il seme della novità è lui.