Non preoccupiamoci della zizzania
«Io amo tutto ciò che è piccolo», diceva S. Bernadette. I santi vedono Dio in tutto e tutto in Dio. Questo sguardo semplice sulle cose, però, è un dono del Signore, e non riusciamo a darcelo con le nostre forze. Siamo portati a cercare la gioia nei grandi avvenimenti, perché non abbiamo imparato a godere dei dettagli della vita: i gesti più semplici, i colori, i suoni. Le cose di tutti i giorni, che ci dicono l’immensità di Dio (cfr. Sal 85,10). Ci parlano della sua fedeltà. Perché ogni giorno vediamo sorrisi, sentiamo il vento, gustiamo la freschezza dell’acqua. Ogni giorno vediamo la luce del sole.
Facciamo fatica ad accorgerci del bene e del bello. Siamo più propensi a vedere il disturbo della zizzania, piuttosto che a contemplare la crescita del grano. Dio, però, ci invita a non preoccuparci: la zizzania c’è ma, suo malgrado, essa non potrà nuocere al grano. Piuttosto, il grano crescerà proprio grazie alla zizzania! E se davvero siamo grano, non estirperemo la zizzania, ma riusciremo a trasformarla in grano. Con l’amore. Noi, invece, il più delle volte, vorremmo abbattere, distruggere, eliminare il «nemico». Senza accorgerci che siamo tutti un unico corpo e, se distruggiamo la zizzania, distruggiamo anche il grano: ecco perché Gesù dice che «non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» (Mt 13,29). Siamo legati gli uni agli altri e non possiamo avere la vita se non la doniamo anche al nostro fratello. E a tutto il creato.
Il regno dei cieli è come un granello di senape, «il più piccolo di tutti i semi» (Mt 13,32), così piccolo che neanche riesci a tenerlo tra due dita. Quando le opere di Dio nascono, sono così fragili, così invisibili che nessuno ci scommetterebbe un centesimo. Spesso, Dio sceglie proprio le persone che noi scartiamo, le situazioni che non immaginiamo, e si diverte a far crescere questo invisibile granello di senape fino a farlo diventare albero su cui gli uccelli del cielo fanno il loro nido (cfr. Mt 13,32). Quelle stesse opere nate nella povertà, col tempo, egli le rende segni stupendi della Sua presenza nel mondo.
Gesù entra in casa ed è lì che spiega ai discepoli le parabole (cfr. Mt 13,36). Con questo gesto, ci fa comprendere che non basta ascoltare il vangelo durante la Messa della domenica o partecipare alle catechesi settimanali per essere strumenti efficaci del suo amore. Gesù ci aspetta «in casa»: desidera che stiamo a tu per tu con lui per illuminare e riscaldare il nostro cuore. Per donarci una comprensione profonda della sua Parola.
Pregare significa stare alla sua presenza e attendere la sua luce quando e come vorrà darcela. Se non stiamo con Gesù, non comprenderemo mai il senso delle parole del vangelo che sono semplici ma immense, perché divine. Si tratta di entrare in un piano di comprensione che è diverso da quello umano. Infatti, «hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25). Il segno di una preghiera autentica è il desiderare sempre più i desideri di Dio. «Colui che scruta i cuori», infatti, «sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,27). Pregare è entrare in Dio ed essere così uniti a Lui nell’amore da avere i suoi stessi sogni. Noi non sappiamo pregare, ma lo Spirito stesso prega in noi rendendoci strumenti di vita per i fratelli. Questa è la vera intercessione, che ama pregando e prega amando.
Suor Mirella Caterina Soro