Non facciamo il «pateracchio» fra Dio e il mondo

Letture del 20 gennaio, 2ª domenica del Tempo ordinario: «Ti renderò luce delle nazioni, perché tu porti la mia salvezza» (Is 49,3.5-6); «Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà» (Salmo 39); «Grazie a voi e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo» (1 Cor 1,1-3); «Ecco l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo» (Gv 1,29-34)

DI AVERARDO DINI

Giovanni è il ponte che unisce l’Antico e il Nuovo Testamenti. Per questo lo troviamo al centro della liturgia che prepara al Natale di Gesù ed anche in questa domenica che, successiva a quella precedente, comunemente chiamata del «Battesimo di Gesù», è denominata «seconda domenica del tempo ordinario». Ed é ancora la figura di Giovanni che sta al centro della liturgia. Nel presentare alla gente la persona di Gesù egli usa tre verbi. Dice di «aver visto, di aver conosciuto e di testimoniare». Sono tre verbi che valgono anche per noi giacché, anche ad ogni cristiano, è affidato il compito di «vedere, di riconoscere e di testimoniare» Cristo Signore.

Giovanni non é un uomo che si lascia assorbire dalla folla che lo circonda, non è attento a gongolarsi perché si vede cercato e seguito da tanta gente. È un uomo non interessato a mostrare se stesso, ma piuttosto attento a vedere in faccia la gente, a leggere nel volto ciò che ognuno si porta nel cuore e a recepire il messaggio che ogni persona porta. Fissa gli occhi ed il cuore sul volto di tutti, tanto che riesce a vedere chi è Gesù e chi non lo è, fino a conoscerlo nel profondo, nella sua interiorità ed essere perciò in grado di darne testimonianza davanti a tutti.

Vedere una cosa, una persona, un avvenimento non é solo guardare. Bisogna che l’immagine di ciò che si é veduto entri dentro di noi, nella nostra mente e nel nostro cuore così che lasci dentro di noi la sua impronta così da poterla ripensarla e ruminarla fino ad estrarre da essa una briciola positiva che fa crescere e arricchisce la nostra persona. Se le cose viste non fanno riflettere, restano accatastate dentro di noi trasformandosi in pesanti ingombri. Vivere di corsa, senza capacità riflessiva, é come visitare una galleria d’arte correndo. Una vera idiozia! È come stare in Chiesa per la Messa, ma la testa si fa frullare per tutto il mondo!Riconoscere significa identificare la persona, scoprire il vero e separarlo dal falso. Fare di ogni erba un fascio è sempre un errore. Dio ci ha dato l’intelletto e bisogna dargli campo libero per funzionare. La persona non riflessiva é insopportabile perché nel parlare e nell’agire sforna sciocchezze e cretinate a cascata rapida. Non è desiderabile averla vicina.

Martellati dalla pubblicità del commercio, dalle notizie della Tv ci va bene tutto, tanto che non sappiamo più distinguere il giorno dalla notte, il vero dal falso fino ad essere diffidenti l’uno dall’altro perché il farabutto è vestito con gli stessi panni dell’uomo onesto.

Eppure c’è nel sottosuolo del mondo un’appassionata ricerca del vero, del giusto e del buono. Ed il compito che è affidato al cristiano sta proprio qui. Egli deve essere testimone della Buona Notizia, annunziata da Gesù.

Ma il cristiano d’oggi lo è? Lascio in sospeso la domanda perché non voglio far da giudice severo. Ma se non lo è, è il momento, proprio all’inizio di questo anno liturgico, di recuperare la nostra più vera identità e ricominciare ad essere più parola di Cristo, più operai di Cristo, più adoratori di Cristo, più cantori dell’amore di Cristo, più martiri di Cristo, più uomini di Dio e non del mondo, più disposti a salire sul Calvario anziché in carriera, più pronti a donare che a ricevere. Abbiamo da essere totalmente presenti nel mondo, ma sempre diversi dal mondo. A fare il «pateracchio» fra Dio e mondo non conviene mai: ci si rimette sempre. Non vale la pena!