Non ci sono più stranieri
Credo che sia sempre con un certo disagio che leggiamo questo brano evangelico dove Gesù si rivolge alla donna cananea con una durezza sconcertante (Mt 15,21-28). È vero che, solitamente, si tende a sottolineare come questo sia una sorta di «test» perché la donna possa manifestare la sua fede, ma forse anche questo non stempera il disagio di un’accoglienza così brusca per una persona che ha già dei grossi problemi sulle spalle. Anche l’affermazione di Gesù di essere inviato alla sola casa di Israele contrasta con altre sue affermazioni: quella di avere pecore di altri ovili (cf. Gv 10,16), quella riguardante un popolo «altro» a cui verrà affidato il regno (cf. Mt 21,43). Si tratta forse di un cambiamento di prospettiva «in corso d’opera»? Sicuramente tutto il Vangelo di Matteo, ma forse l’intera Bibbia, dà conto di una tensione esistente fra il popolo eletto e gli altri popoli, tensione che spesse volte è diventata scontro aperto, mentre altre volte la Scrittura testimonia l’esistenza di una relazione, di un mutuo ordinamento, anche se non sempre vissuti facilmente, di una apertura a un domani di comunione e pacificazione (cf. Is 56, 1-7; 1a lettura).
Da questo punto di vista Gesù Cristo prende sul serio questa tensione, non la stempera e neppure la banalizza, si inserisce al suo interno diventandone parte, vivendo in prima persona questa contrapposizione che solo in Lui verrà definitivamente sanata (cf. Ef 2,18). Accetterà di essere rifiutato o accolto sia dagli uni che dagli altri. Farà molto di più che essere politicamente corretto nei confronti della donna straniera, diventerà straniero lui stesso, crocifisso ed espulso dalla sua città (cf. Eb 13,12).
La sua persona diventerà elemento di unione e di mutuo riconoscimento chiedendo a tutti di ridefinirsi in relazione a lui. Da questo punto di vista Paolo lo dice chiaramente nella seconda lettura di oggi (Rm 11,13-32): i vicini e i lontani possono rimanere se stessi ma comprendersi gli uni e gli altri in relazione a Cristo, misericordioso verso tutti. Questo è un percorso che può aiutarci anche oggi nel nostro cammino di credenti, nel campo dell’ecumenismo, nel dialogo con le altre religioni, nei problemi sollevati dai flussi migratori. La ricerca e l’affermazione di ogni identità non può avvenire a scapito di altre, ma nel riconoscimento reciproco e del nostro essere tutti alla medesima tavola, cominciando a condividere le briciole di comunione «perché nulla vada perduto» (Gv 6,12).
*cappellano del carcere di Prato