Nella casa di Nazareth vediamo cos’è la famiglia

Letture di domenica 31 dicembre, Sacra Famiglia: «Samuele è ceduto al Signore per tutti i giorni della sua vita» (1 Sam 1,20-22.24-28); «Siamo chiamati figli di Dio e lo siamo realmente» (1 Gv 3,1-2.21-24); «Gesù è ritrovato nel tempio in mezzo ai dottori» (Lc 2,41-52)DI MARCO DINO BROGI

La domenica fra l’ottava di Natale o, in mancanza, il giorno 31 dicembre, la liturgia c’invita a riflettere sulla Famiglia, additandoci come modello quella di Nazareth. L’argomento è attualissimo: essa ha come fondamento il sacramento del matrimonio, che è un patto che vincola un uomo e una donna, i quali s’impegnano davanti a Dio a donarsi reciprocamente per tutti i giorni che sarà dato loro di trascorrere su questa terra, vivendo l’uno per l’altro, ed ambedue per i figli, se il Signore glieli vorrà donare (vedi Gaudium et Spes, nn. 40-52). La nostra società ha invece visto pubblicizzare e spesso prevalere modelli di unioni contrastanti con i principi cristiani, ed ora si cerca di equiparare al matrimonio altre forme di convivenza tra due persone, perfino trascurando il requisito della eterosessualità, e di tutelare dette forme con l’attribuzione degli effetti giuridici del matrimonio stesso: ovviamente, la legislazione civile non aggiunge né toglie nulla alla sacralità della famiglia cristiana, ma può appannarne la visibilità.

In questo terzo anno del ciclo domenicale, l’Anno C, la pericope tratta dal Vangelo secondo Luca (terza lettura), e quella tratta dalle prime pagine del Primo Libro di Samuele, che abbiamo incontrato all’inizio della Liturgia della Parola (prima lettura), e che ci fornisce la chiave di lettura del Vangelo, ci presentano l’una Maria e Giuseppe che portano al Tempio Gesù adolescente, e l’altra Elkana ed Anna che portano al Tempio il Profeta Samuele, ancora bambino. I due episodi hanno per protagonisti tanto i fanciulli che le rispettive madri. Samuele è stato implorato dalla madre Anna, sino a quel momento sterile, ed essa, colma di riconoscenza per il dono ricevuto, lo offre a Dio; Gesù ha dodici anni, e pertanto è giunto il momento di confermare la sua appartenenza al Popolo eletto, facendolo riconoscere dai Sacerdoti come bar-mitzvah, come «figlio della legge», titolare di tutti i diritti e i doveri di un ebreo adulto.

In questo brano, che chiude il «Vangelo dell’Infanzia», Gesù conversa con i dottori del Tempio e li stupisce per l’intelligenza delle sue parole, e poi, nel rispondere alla Madre che lo rimprovera teneramente per la preoccupazione procuratale, egli afferma per la prima volta di essere venuto tra noi con una missione specifica. L’Apostolo Giovanni ci ricorda con chiarezza (seconda lettura) che siamo figli di Dio ed oggetto del suo amore, al quale deve corrispondere il nostro amore per Lui; egli ci esorta altresì ad amarci vicendevolmente: nel contesto odierno, l’invito ad amarci vuol ricordare che soltanto l’amore alimenta i reciproci legami dei membri della famiglia. Dai brani proposti in questa Festa possiamo pertanto trarre l’invito rivolto agli sposi ad amarsi generosamente, vivendo il loro matrimonio come segno dell’amore di Cristo per noi (Ef., 5,21-32), ed a curare premurosamente i propri figli (Ef. 6,4), favorendo lo sviluppo della vocazione alla quale ciascuno di loro è singolarmente chiamato.