Nel deserto Gesù sceglie di restare uomo
Come ogni anno la liturgia ci propone, nella prima domenica di Quaresima, il brano evangelico delle tentazioni, quest’anno nella versione di Marco (Mc 1,12-15), che però acquista una sfumatura particolare nel confronto con le altre letture che ci presentano il tema dell’alleanza con Noè dopo il diluvio (Gn 9,8-15) e la sua reinterpretazione da parte di Pietro (1Pt 3,18-22).
La prima alleanza suggellata da Dio con il segno dell’arcobaleno, in particolare, possiede tuttora una carica estremamente espressiva: anche noi, persone del ventunesimo secolo, possiamo sentirci sollevati quando appare questo segno nel cielo, segno della fine della tempesta, segno ancestrale che, pur sapendo trattarsi di un semplice fenomeno ottico, tocca le corde più profonde del nostro essere e delle sue paure, specialmente quella di essere travolti da forze oscure e indomabili che non si riesce a esorcizzare. Ebbene il segno di Dio sulle nubi è il primo segno di una fedeltà che dice che non vi saranno ripensamenti sulla vicenda umana, che Dio vorrà sempre aver a che fare con questa realtà, dalla quale ripartire ogni volta dopo le inevitabili cadute.
E’ un primo passo, germinale, che si svilupperà nella storia di Dio con l’umanità, ma in essa è già contenuto il suo «sì» che troverà pieno compimento con la venuta di Cristo (cf. 2Cor 1,20) e che permette a Pietro di attualizzare con facilità la vicenda dell’arca e del diluvio facendone un tipo del battesimo, leggendo questo evento distruttivo e mortifero come, all’opposto, apportatore di salvezza, funzionale alla trasformazione, al rinnovamento di questa realtà e delle vite che ad essa appartengono. Si tratta di un ribaltamento non da poco, che ci consente di svelare la strategia del maligno all’opera nelle tentazioni di Cristo e, per esteso, in ciascuno.
Questa strategia cerca di spingere Gesù a distaccarsi dalla nostra umanità per dipingere e realizzarne una alternativa, come vediamo nella narrazione di Matteo e Luca: un uomo diverso capace di trasformare le pietre in pane o svolazzare a suo piacimento; un uomo che non ha più nessun contatto con questa realtà che non permette tutto ciò. Un uomo che il satana sottilmente evoca come realizzatore di un’umanità totalmente diversa da quella presente, come in teoria avrebbe dovuto essere, come Dio stesso avrebbe voluto.
Cristo però sa bene, a partire dalla primitiva alleanza in Noè, che Dio ormai vuol aver a che fare con quest’uomo e questo mondo e si incammina per entrare sempre più in sintonia con esso fino al suo punto più basso, la discesa agli inferi. Ma questo lo sintonizza con il Padre a tal punto che anche nel deserto egli vive in modo pacificato con le bestie selvatiche e gli angeli, ricreando una comunione che ricorda e supera quella originaria. Credo che questa fedeltà possa dire molto alla nostra vita, a tutti coloro che vorrebbero (o millantano) le formule per rifondare la società, la vita comune, il mondo stesso; i venditori di slogan e i gli sdoganatori dei razzismi e delle supremazie di alcune vite su altre; i costruttori di luoghi comuni incapaci di guardare alla realtà di un’umanità che ha bisogno, invece e innanzitutto, di un sì, passo iniziale e necessario che può orientare tutti gli altri, lo stesso sì che Dio ha detto a noi fin dai tempi di Noè.
*Cappellano del Carcere di Prato