Natale, il mistero dell’incontro con l’inaspettato
La riflessione di questa settimana è assai impegnativa poiché, per esigenze editoriali, è richiesto a chi scrive un commento all’intero ciclo delle festività natalizie.
Si tratta quindi di una serie molto ampia di brani biblici che ci accompagneranno in queste celebrazioni e che, necessariamente, non potranno essere presi tutti in considerazione. Occorre perciò fare una scelta, limitandosi a individuare un percorso di riflessione che si snoda in questo tempo liturgico, con la consapevolezza che ve ne possono essere molti altri ugualmente interessanti.
Questa riflessione potrebbe partire da due versetti della lettera di Paolo a Tito, presenti nella seconda lettura della Messa della notte di Natale e in quella dell’aurora: « Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini» (1 Tt 2,11) e «quando apparvero la bontà di Dio salvatore nostro e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati» (1 Tt 3,4). Si parla qui di una grazia e di una bontà che appare. Questo verbo nell’uso comune non gode di un grande apprezzamento, da esso deriva il termine «apparenza», spesso interpretato come opposto alla verità dei fatti, oppure «apparizione», che evoca qualcosa di evanescente, lontano, celestiale e in fondo alieno. Paolo ci ricorda invece che il mistero del Natale è una realtà tangibile, che arriva e si inserisce nel tempo, nello spazio, nella vita dell’uomo. Non è un concetto al quale si può arrivare con un ragionamento, con la concatenazione dei sillogismi. È l’arrivo dell’ospite, il bussare alla porta, il raggio di sole che squarcia le nubi e che chiede solo di essere guardato.
Il primo passo è il silenzio, l’andare «a vedere» dei pastori (Lc 2, 15; Natale aurora), il porsi dei Magi di fronte al bambino, al quale semplicemente offrono i loro doni e tutto si svolge nel profondo dei loro cuori, l’esperienza di una gioia che si può solo trovare (Mt 2,10; Epifania). È il vedere lo spirito discendente come colomba sul Cristo che fa tacere il Battista riguardo alla sua perplessità e lo introduce in una nuova giustizia (Mt 3,13; Battesimo di Gesù).
Il Natale è innanzitutto un mistero di incontro, di contemplazione dell’inaspettato, forse anche atteso ma che comunque travalica ogni aspettativa, che può poi essere riconosciuto come parola per la nostra vita, parola che si rivela, parola donata, « che ha parlato a noi in questi giorni» (Eb 11,1; 2° lettura Natale giorno), via di accesso alla contemplazione della gloria del Padre e «dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia» (Gv 1,16, Natale giorno). È parola che può essere ridonata a sua volta, nell’ annuncio della Chiesa, solo come testimonianza , come frequentazione assidua di essa, che abita tra noi nella sua ricchezza e che si declina come magnanimità, amore, perdono reciproco, esortazione (cfr. Col 3, 12-16; 2° lettura S. Famiglia).
La contemplazione diviene quindi un momento nodale, per dare un nome all’esperienza della grazia apparsa nella nostra vita. Maria che «custodiva tutte le cose meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19; Natale aurora) è da sempre un’icona di questo passaggio, di questo «dare il nome alle cose». Ricordiamo che questo «dare il nome» è un incarico che Dio affida all’uomo fin dai primordi della creazione (cfr. Gn 2,19), ma la tentazione è quella di decidere in proprio un nome, e quindi un destino, per ciò che ci circonda.
La contemplazione del Natale ci porta a «scoprire il nome» nostro e degli altri, ricollocandolo dentro il mistero della grazia apparsa ai nostri occhi, offrendoci la possibilità di vedere un disegno, un panorama nella sua interezza, di discernere i sentieri, i passaggi e la collocazione di chi vive in questo spazio e in questo tempo.
In questo cammino c’è anche il tempo per spingersi oltre nelle domande più profonde: chi è mai in realtà colui che ci ha visitato? Da dove viene, qual è il suo percorso, la sua storia? La liturgia ci accompagna a confessare il dato di fede: Cristo è la sapienza eterna, che prima dei secoli è rivolta al Signore, ma che si radica nella storia di un popolo, «porzione del Signore» che è sua eredità (Sir 24,12; 1a lettura II Dom. di Natale). E’ il «Figlio nato da donna, nato sotto la legge» (Gal 4,4; 2a lettura S. Madre di Dio) e che, comunque, ancor prima di radicarsi in questa storia, addirittura prima dei secoli, in quella che potremmo essere tentati di definire la beata indifferenza di una divinità conchiusa in se stessa, aveva già presente in sé il pensiero, la scelta, l’offerta della condivisione della propria vita a una creatura, a tutte le creature chiamate all’adozione filiale (Cf. Ef 1,4; 2a lettura II Dom. di Natale).
Nell’apparizione della grazia è concentrato tutto questo movimento che attende di dipanarsi nella nostra vita. Nessun passaggio può essere saltato perché, come amaramente si può notare nella festa dell’Epifania, senza l’apertura e la contemplazione della luce che splende su noi (cf. Is 60, 1-6; 1a lettura), nemmeno la conoscenza e la lettura delle Sacre scritture, possono realizzare quest’incontro (cf. Mt 2,1-12).
Questo mi sembra un percorso possibile: l’esperienza dell’apparire della grazia che ritroviamo nell’annuncio della liturgia o in qualche altra esperienza che ci ha aperto il cuore e che chiede a noi, mediante la contemplazione, di «ricevere un nome». Un punto di partenza potrebbe essere anche semplicemente le realizzazione di un presepio. In fondo in un presepio è rappresentato un evento, vediamo quello che era posto di fronte ai pastori o ai magi. Pur essendo realizzato in terracotta o cartapesta sappiamo che quello è l’evento, l’ingresso di Dio nel mondo in quel modo e in quel tempo. S. Ignazio nei suoi «Esercizi spirituali» invitava, durante la meditazione sul Vangelo, a pensarsi contemporanei a Cristo, nell’uno o nell’altro episodio, proprio per sottolineare la dimensione dell’ evento, dell’irruzione nella nostra vita dell’inaspettato, irruzione che provoca necessariamente una reazione se ci sentiamo coinvolti in essa. Non si tratta tanto di recitare una parte, di pensarsi là, allora, quanto piuttosto di capire che l’ingresso di Dio nel mondo arriva oggi, è contemporaneo a noi. S. Francesco a Greccio pensò il presepio non come ricordo ma come permanenza dell’arrivo di Dio nella nostra vita. E infatti, si racconta che il bambinello divenne vivo fra le sue braccia perché Cristo è vivo, ieri oggi e sempre.
Siamo qui molto distanti dal pensiero contemporaneo sulla realtà virtuale, sulle identità virtuali o sugli avatar. A volte queste esperienze portano le persone a uscire dal mondo presente (fino a esiti patologici) per giocarsi totalmente nel mondo virtuale. Al contrario il pensarsi in relazione a Cristo, ponendoci di fonte al suo evento, che permane aperto come tale anche nel nostro oggi, ci consente di interpretare la nostra vita, di fare le nostre scelte alla luce della sua venuta. E che questa esperienza ci aiuti a vivere in modo riconciliato con noi stessi e il mondo, che Cristo continua a visitare e illuminare con la sua luce. Buon Natale.
*Cappellano del carcere di Prato