Marta e Maria: accogliere Gesù vuol dire ascoltare i suoi insegnamenti

22 luglio, 16ª domenica del Tempo Ordinario: «Signore, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo» (Gn 18,1-10); «I puri di cuore abiteranno nella casa del Signore»; «Il mistero nascosto da secoli, ora è manifestato ai santi» (Col 1,24-28); «Marta lo accolse nella sua casa. Maria ha scelto la parte migliore» (Lc 10, 38-42)

DI BRUNO FREDIANI

Per il popolo di Israele lo straniero è un memoriale vivente, gli ricorda che un tempo fu straniero in  Egitto, che fu pellegrino nel deserto e che è di passaggio sulla terra. È una lettura spirituale e di fede dell’ospitalità.

Nel racconto di Abramo (prima lettura)  lo straniero è l’«altro» che rimanda a quell’«Altro» per eccellenza che è Dio. Il Dio della fede è il «Forestiero», l’«Assolutamente Altro»,  che però è vicino, che visita l’uomo e trasforma la sua vita. Lo straniero accolto con premura, diventa per Abramo promessa e profezia di un evento gioioso: la nascita del figlio.

Nel Vangelo Gesù appare come ospite in casa di amici di lunga data. Ma non si comporta come un ospite normale: esige attenzione all’essenziale del suo messaggio e della sua persona. Maria, che «si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta», «sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava».

 È l’atteggiamento tipico del discepolo. Se uno vuole davvero accogliere Gesù, deve diventare suo discepolo ascoltandolo. È ascoltandolo che si entra in comunione con lui e si è trasformati.

Chi si preoccupa più delle cose da dare che della persona con cui comunicare, rimane estraneo. Quando il Signore parla, la cosa più importante è ascoltarlo. E la sua parola non è riposante e consolante, «poiché viva è la parola di Dio ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino a divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla, e capace di discernere i sentimenti e i desideri del cuore».

Non si tratta di distinguere tra attività (Marta) e passività (Maria). Niente è più attivo e più doloroso che lasciarsi plasmare da questa Parola che risuscita i morti che siamo noi.

L’attivismo e l’agitazione, anche nell’esperienza di fede, possono nascondere una specie di paura e di fuga dalla Parola che trasforma. Per misurare la nostra fede non dobbiamo guardare a quante cose facciamo, ma a quanto siamo attenti alla Parola e a quanto ci lasciamo modellare da essa.

Marta è dolcemente rimproverata da Gesù, non perché lavora, ma perché è incapace di lasciarsi plasmare dalla parola del Signore, non perché è attiva, ma perché si agita, non perché serve il Signore e Maria, ma perché non vuole consentire alla sorella il rapporto di discepolato verso Gesù.

Gesù non loda l’ozio e la pigrizia, ma non vuole neanche che di fronte a lui agiamo con agitazione, impazienza, paura e nervosismo.

Quando Gesù, dopo la sua risurrezione, incontrerà Maria stessa, nell’orto del sepolcro, in stato di agitazione e di inquietudine, perché lo crede morto e lo cerca ovunque, al punto che non lo riconosce neppure, rimprovererà anche a lei la sua tristezza, la sua mancanza di fede e di pace, la inviterà a calmarsi, a raccogliersi e, quando è ritornata in se stessa, quando l’ha riconosciuto e ha ritrovato se stessa come discepola, la manda verso i suoi fratelli e ne fa l’apostola degli apostoli.

La vera beatitudine non sta nel servire Gesù, portarlo in grembo e allattarlo, come gridava la donna del popolo, ma, come precisa Gesù stesso, nell’ascoltare la sua parola e metterla in pratica.